Tessuto adiposo epicardico, un nuovo target per le terapie cardiache
Uno studio a cui hanno collaborato ricercatori del Dipartimento di scienze biomediche per la salute dell’Università degli studi di Milano e dell’IRCCS Policlinico San Donato, pubblicato sull’International Journal of Cardiology, ha scopeto che medicinali abitualmente utilizzati nel trattamento del diabete di tipo 2 e dell’obesità sono in grado di ridurre il grasso epicardico e di avere quindi effetti benefici dal punto di vista cardiovascolare. Il tessuto adiposo epicardico (EAT), la cui funzione è la protezione del cuore quando rimane entro certi limiti, se è in eccesso può avere effetti dannosi.
Esso infatti è in grado di modificare il metabolismo cardiaco e di alterare struttura e mobilità del cuore, oltre a favorire l’aterosclerosi e peggiorare il microcircolo. Inoltre, se infiltra la parete del muscolo cardiaco, può causare problemi di ritmo e conduzione. «Abbiamo studiato campioni di EAT prelevato da pazienti affetti da patologia coronarica sottoposti a intervento chirurgico di bypass e abbiamo riscontrato che questo tessuto adiposo esprime una molecola specifica (GLP-1R) che funziona da recettore per le incretine e i cui livelli sono associati a geni che, oltre a ridurre la creazione di nuovo grasso (adipogenesi), promuovono l’ossidazione degli acidi grassi e il differenziamento delle cellule grasse da bianche a brune, favorendo quindi il dispendio energetico e la perdita di grasso.
Attraverso l’azione sul EAT deriva quindi un’importante funzione protettiva a livello del cuore» spiega alla stampa Elena Dozio, dell’Università degli Studi di Milano, autrice principale dello studio. I ricercatori hanno visto che pazienti diabetici e obesi in terapia con gli incretino-mimetici hanno presentato una riduzione dello spessore del grasso cardiaco che è arrivata fino al 36%, e che è risultata indipendente dalla perdita di peso complessivo e dal controllo del glucosio. «Sappiamo che l’eccesso di grasso epicardico genera un’azione infiammatoria direttamente sulle pareti delle arterie coronarie e sul muscolo cardiaco. Questa funzione pro-infiammatoria del grasso è un predittore indipendente di coronaropatia e di rischio metabolico ma questo nuovo lavoro, oltre a confermarne il ruolo di importante fattore di rischio, apre la strada alla considerazione di EAT come un vero e proprio target terapeutico su cui in futuro si potrà agire direttamente» conclude Alexis Malavazos, dell’IRCCS Policlinico San Donato, co-autore dello studio.
Int J Cardiology 2019. Doi: 10.1016/j.ijcard.2019.04.039
https://doi.org/10.1016/j.ijcard.2019.04.039
Fonte Doctor33