Servono studi di qualità per stimare la prognosi delle lesioni cerebrali dopo un arresto cardiaco
Un gruppo di esperti della Johns Hopkins Medicine e dell’American Heart Association (AHA) ha firmato un documento, pubblicato su Circulation, che fornisce indicazioni sul recupero nei sopravvissuti comatosi alla rianimazione dopo un arresto cardiaco. «Lo scopo è sia agevolare la ricerca sull’appropriatezza prognostica, sia individuare le migliori terapie per il recupero dalle lesioni cerebrali» esordisce Romergryko Geocadin, presidente del gruppo di lavoro e professore di neurologia, neurochirurgia e anestesia e medicina per l’assistenza critica presso la Johns Hopkins University School of Medicine. Ma non solo: l’obiettivo del gruppo è stimolare la comunità dei ricercatori a sviluppare test clinici precisi e accurati, applicabili alla maggior parte dei rianimati dopo un arresto cardiaco per stimarne la prognosi probabile. «Dobbiamo garantire ai pazienti e alle famiglie che stiamo facendo del nostro meglio per non prolungare inutili sofferenze da un lato, e dall’altro non rinunciare troppo presto alle cure se la persona ha il potenziale per recuperare una qualità della vita ragionevole» afferma Geocadin, sottolineando gli attuali limiti, dovuti alla mancanza di studi di qualità che sostengano il processo decisionale. Nel documento si legge che solo l’8% circa delle oltre 320.000 persone andate incontro a un arresto cardiaco extra-ospedaliero negli Stati Uniti viene dimesso con prognosi buona, mentre la maggior parte dei rianimati resta in uno stato di coma a causa delle lesioni cerebrali su base anossica. «Una possibile ragione per cui i farmaci finora testati per migliorare la prognosi delle lesioni cerebrali dopo un arresto cardiaco potrebbero avere fallito è che gli studi clinici sull’argomento sono stati progettati per cercare gli effetti farmacologici a 30 o 90 giorni dopo la rianimazione da un arresto cardiaco avvenuta con successo. Viceversa, le previsioni sul recupero entro 72 ore si basano su studi di bassa qualità» spiegano gli autori. E Geocadin conclude: «Con questo documento speriamo di fornire a ricercatori e operatori sanitari una guida sull’attuale stato dell’arte, nonché uno stimolo per svolgere studi clinici rigorosi e di qualità mirati a sviluppare trattamenti utili per questi pazienti».
Circulation. 2019. doi: 10.1161/CIR.0000000000000702
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31291775
Fonte Doctor33: https://bit.ly/2Yben6R