Scompenso cardiaco, il rischio di morte a confronto in paesi diversi del mondo
Lo scompenso cardiaco è la diagnosi principale in oltre 80.000 ricoveri ospedalieri nel Regno Unito, in più di 200.000 in Giappone e di 1 milione negli Stati Uniti. «Numeri che suggeriscono un possibile ruolo delle differenti culture nei tassi di mortalità per insufficienza cardiaca nel mondo» afferma Toshiyuki Nagai del Dipartimento di medicina cardiovascolare all’Università di Hokkaido in Giappone, primo autore di uno studio pubblicato su Open Heart che ha messo a confronto 894 morti per scompenso di cuore in ospedali britannici con 3.781 decessi avvenuti in ospedali nipponici. E dai risultati ottenuti emerge che i cinque fattori di rischio più strettamente legati al rischio di morte erano la pressione sistolica e i livelli ematici di sodio, urea e creatinina. «Il successivo confronto dei tassi di mortalità ospedaliera con quelli osservati 1, 3 e 6 mesi dopo il ricovero indica che sebbene i pazienti inglesi e giapponesi fossero di età sovrapponibile, la casistica britannica non solo soffriva di un’insufficienza cardiaca più grave, ma aveva anche una maggiore frequenza di cardiopatia ischemica e malattia polmonare cronica ostruttiva come la BPCO» scrivono gli autori, aggiungendo che i pazienti del Regno Unito avevano globalmente un maggiore rischio di morte rispetto ai giapponesi. «Gran parte della differenza potrebbe dipendere dal fatto che i pazienti inglesi fossero in peggiori condizioni cliniche al momento del ricovero, in quanto i criteri di ammissione ospedaliera nel Regno Unito sembrano essere più stretti rispetto al Giappone» osserva il ricercatore. Ma anche tenuto conto di queste differenze, le probabilità di morire a sei mesi dal ricovero erano più che doppie nei britannici rispetto ai nipponici. «Questo studio osservazionale non è in grado di stabilire perché i pazienti britannici vadano peggio dei giapponesi, sebbene si possa ipotizzare che le differenze nella qualità delle cure dopo la dimissione, l’atteggiamento nei confronti dei consigli medici, l’aderenza alla terapia, lo stile di vita, la dieta e la genetica abbiano un ruolo in tal senso» spiega Nagai. E conclude: «Le differenze prognostiche tra paesi, culture e servizi sanitari potrebbero fornire spunti per migliorare sia l’assistenza sia le politiche sanitarie». real6
Open Heart. 2018. doi: 10.1136/openhrt-2018-000811
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/30228905
Fonte Doctor33: https://bit.ly/2yqGtjl