Schizofrenia, al Congresso Sip presentato primo antipsicotico che agisce anche su sintomi negativi
La schizofrenia rappresenta una delle malattie più gravi e disabilitanti in psichiatria. Il concetto è stato ribadito a Torino, in occasione del 48° Congresso nazionale della Società italiana di psichiatria. In realtà «il numero di persone con prevalenza di disturbo schizofrenico è circa l’0,8 – 1% della popolazione, circa 245.000 persone in Italia, con un’incidenza di circa 12.000 casi annui» precisa Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e salute mentale ASST Fatebenefratelli – Sacco di Milano. «La patologia determina un grave carico personale e sui caregiver, in particolare i familiari, con esiti severi». Tra gli aspetti più rilevanti è la necessità di migliorare gli esiti e la quantità di vita di questi soggetti che hanno un’aspettativa di vita inferiore di 15-20 anni. «Molti casi non sono riconosciuti oppure non sono diagnosticati per tempo, soprattutto quando l’esordio non è eclatante: spesso si tratta di giovani che vivono silenziosi a casa, in ritiro sociale e con una sintomatologia prevalentemente negativa che, a differenza della depressione, coinvolge anche l’area cognitiva» continua Mencacci. «Questi sintomi rimangono spesso misconosciuti, perché fondamentalmente rappresentati dalla cosiddetta “sindrome amotivazionale” che si trova in un numero importante di soggetti con schizofrenia». Sotto questo profilo un’importante novità è rappresentata dall’imminente disponibilità di cariprazina, un antipsicotico di terza generazione che, per la prima volta, non è solo in grado di agire sui sintomi “positivi” della malattia (deliri, allucinazioni, dissociazione logico-formale del pensiero, ecc.), ma anche sulla componente “negativa” (apatia, anedonia, asocialità, ecc.), con l’ulteriore vantaggio di avere ridotti effetti collaterali neurologici (sindrome simil-parkinsoniana) e metabolici, oltre ad avere scarso impatto sull’apparato cardiovascolare.
«Dal punto di vista farmacologico, questo nuovo antipsicotico è considerato un agonista dopaminergico parziale» dichiara Edoardo Spina, docente di Farmacologia all’Università di Messina «che, oltre ad avere una maggior tollerabilità dei farmaci di 1a e 2a generazione, sembra essere particolarmente attivo ed efficace sui sintomi negativi, per una propria peculiarità farmacologica, che è quella di agire da agonista parziale sui recettori dopaminergici di tipo D3 (a differenza di tutte le altre molecole che agiscono solo sui recettori D2). Infatti» continua Spina «i farmaci che agiscono sui recettori D3 possono avere un’azione favorevole sui sintomi negativi e cognitivi della schizofrenia». Spina scende ancora più nel dettaglio. «Nella schizofrenia sono coinvolti i vari recettori dopaminergici e sappiamo che la potenza dei primi farmaci è correlata alla loro affinità ai recettori D2, quelli principalmente implicati. Però i recettori D3, presenti in alcune aree, in particolare a livello mesolimbico, hanno una specifica importanza nel meccanismo di questo farmaco perché alcuni di questi recettori sono presinaptici e si trovano su neuroni dopaminergici che partono dall’area ventrale tegmentale mesencefalica e raggiungono la corteccia frontale. Quindi» prosegue «i recettori situati sul corpo di questo neurone sono autorecettori per cui, quando la dopamina li tocca, a valle si libera meno dopamina. Quando invece interagiscono con un farmaco ad azione di antagonismo o agonismo parziale come la cariprazina – in modo più spiccato rispetto ad altri antipsicotici – non c’è più il freno al rilascio di dopamina e nella corteccia prefrontale se ne libera una quantità maggiore: una quantità tale da consentire un ripristino delle funzioni cognitive e una riduzione dei sintomi negativi». La dopamina a livello mesolimbico nella schizofrenia è iperattiva per quanto riguarda la sintomatologia positiva, specifica Spina, e gli antipsicotici generalmente bloccano questo fenomeno. «Anche questo farmaco renderebbe attivo il blocco della dopamina a livello mesolimbico agendo sui recettori D2 ma, a differenza degli altri, avrebbe questa proprietà aggiuntiva, grazie all’interazione D3, di modulare il rilascio del neurotrasmettitore in sede prefrontale».
«I vantaggi dell’utilizzo di cariprazina» aggiunge Andrea Fagiolini, docente di Psichiatria all’Università di Siena «includono il fatto che gli effetti collaterali, rispetto ai farmaci precedenti sono ridotti: da quelli anticolinergici (come bocca secca, stitichezza, ritenzione urinaria, esacerbazione degli effetti pericolosi del glaucoma a angolo chiuso), agli antiadrenergici (quale l’ipotensione ortostatica), agli anti-istaminergici (quali sedazione, aumento di peso) e metabolici (per esempio aumento di peso, del colesterolo o dei trigliceridi). Così come sono ridotti i rischi di aritmia (per esempio da aumento del tratto di ripolarizzazione QTc dell’elettrocardiogramma)». Il profilo di tollerabilità distintivo di cariprazina favorisce l’aderenza e la continuità terapeutica, a oggi una delle principali criticità nel trattamento farmacologico. «Altri benefici» sottolinea Fagiolini «includono la monosomministrazione orale giornaliera e una lunga emivita». L’introduzione di una nuova opzione terapeutica – riprende Mencacci – aumenta gli esiti e la possibilità di aprire la strada a percorsi di riabilitazione psicosociale, fino a entrare nel circuito che porta a una maggiore “autonomizzazione” del soggetto, e soprattutto pensare a quelle possibilità che si aprono come reinserimenti lavorativi mirati, appartamenti protetti, vita a domicilio con maggiori opportunità di funzionamento sociale, relazionale e lavorativo.
«Cariprazina nasce in uno scenario ben preciso» spiega Stefano Pallanti, docente di Psichiatria e Scienze del Comportamento allo Stanford University Medical Center – dove esiste ormai la consapevolezza che la schizofrenia sia una patologia con diverse dimensioni (tanto che oggi si tende a parlare di ‘spettro dei disturbi della schizofrenia’)». Questo concetto ha segnato un cambio di passo, anche grazie allo sviluppo di farmaci come cariprazina: recenti dati dimostrano come diversi pazienti, se presi in carico tempestivamente e curati bene, guariscono, afferma Pallanti. «Finora la schizofrenia era considerata una malattia cronica progressiva, oggi possiamo dire che è, in una percentuale non trascurabile, una malattia episodica recidivante». Cariprazina aiuta in questo compito, sottolinea Pallanti, perché nasce con una funzione ben precisa: «non bloccare la salienza (significato della percezione del mondo), essere ben tollerato ed efficace, non per la gestione cronica del paziente, ma per una riabilitazione che ci porta verso la recovery». Approvata dall’Ema nel luglio 2017, cariprazina sarà commercializzata in Italia dal 3 dicembre 2018 in classe A.
A.Z.
Fonte Doctor33: https://bit.ly/2O9oXGh