Onde magnetiche sul cervello per combattere la dipendenza da cocaina
Uno studio condotto in Italia mostra che la stimolazione magnetica transcranica è in grado di ridurre i sintomi da astinenza e l’uso di droga nelle persone dipendenti da cocaina
Un italiano adulto su 20 ha fatto uso di cocaina almeno una volta nella propria vita. Uno su 200 ne ha fatto uso negli ultimi 30 giorni: è quindi probabile che ne faccia un uso abituale. Tra questi ultimi una percentuale non definita soffre di dipendenza vera e propria.
Difficile conoscere l’entità reale del fenomeno: chi soffre di dipendenza da cocaina tende a rivolgersi ai servizi sanitari con una frequenza molto minore di quanto faccia chi consuma eroina. Inoltre non esistono farmaci specifici per il trattamento dell’abuso e della dipendenza da coca.
Una svolta potrebbe venire da uno studio appena condotto tra Padova e Venezia dove un gruppo di ricercatori ha sperimentato la stimolazione magnetica cerebrale come potenziale cura efficace per la dipendenza da questa droga.
La stimolazione magnetica transcranica consiste nell’applicare impulsi magnetici a un’area del cervello ben localizzata. È la figlia meno invasiva della terapia elettro-convulsiva (l’elettroshock): al posto della corrente elettrica, vengono applicati potenti campi magnetici per provocare modificazioni nel tessuto cerebrale. È sicura, non invasiva e già impiegata per il trattamento di dolore neuropatico e depressione.
Il gruppo di ricercatori, afferenti all’IRCCS Ospedale San Camillo di Venezia e al dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Padova, ha testato la tecnica su 32 persone in cerca di un trattamento per la dipendenza da cocaina. La metà di essi è stata trattata con stimolazione magnetica transcranica ripetitiva, mentre gli altri 16 pazienti “di controllo” hanno ricevuto dei farmaci mirati ad alleviare i sintomi di astinenza. Durante il periodo di trattamento si sono eseguite analisi delle urine periodiche per verificare il reale consumo di cocaina. Nei pazienti del gruppo sperimentale si è riscontrata una forte riduzione dell’uso di droga e dei sintomi da astinenza, rispetto al gruppo di controllo. Inoltre il 69 del gruppo trattato con stimolazione magnetica non ha avuto ricadute nell’uso di cocaina, mentre solo il 19 per cento dei soggetti trattati con farmaci ha avuto lo stesso risultato positivo.
Al termine di questa prima fase dell’esperimento, i pazienti del gruppo sperimentale hanno continuato a sottoporsi settimanalmente al trattamento con stimolazione magnetica, mentre ai pazienti del gruppo di controllo è stato proposto di abbandonare il trattamento farmacologico per passare a quello con stimolazione.
Dopo 63 giorni i risultati hanno nuovamente confermato gli effetti benefici della stimolazione magnetica cerebrale.
«Il nostro studio suggerisce che la stimolazione magnetica potrebbe rappresentare un nuovo trattamento per le persone che soffrono per la dipendenza da cocaina», ha commentato Alberto Terraneo, ricercatore all’IRCCS Ospedale San Camillo di Venezia e tra gli autori dello studio pubblicato sulla rivista European Neuropsychopharmacology. «Al momento non esistono trattamenti efficaci per questo disturbo e quindi non è stato facile stabilire un gruppo di controllo per il nostro studio. Questo è uno dei motivi per cui consideriamo i risultati promettenti, ma preliminari. Dobbiamo ora ripetere la sperimentazione in un gruppo più ampio di pazienti. Comunque questo lavoro rappresenta la prima indicazione clinica che il trattamento con stimolazione magnetica transcranica ripetitiva sia in grado di ridurre significativamente l’uso di cocaina».
Ma il contrasto della dipendenza da cocaina potrebbe non essere l’unico potenziale uso della stimolazione cerebrale: «Questi risultati evidenziano come si sia potuto ottenere una modifica del comportamento di dipendenza attraverso la stimolazione della corteccia frontale, il cui ipofunzionamento risulta in disturbi del comportamento», ha spiegato la direttrice scientifica dell’IRCCS Ospedale San Camillo di Venezia Annalena Venneri. «Questo studio apre la strada a possibili applicazioni più ampie di questa metodica di trattamento, come ad esempio in altre condizioni di dipendenza patologica che si verificano dopo danno acquisito di questa area del cervello».
Fonte: www.healthdesk.it