Hiv, infezione spesso senza diagnosi fino alla comparsa dei sintomi. Pochi fanno il test
Meno del 40% dei cittadini statunitensi si è sottoposto, almeno una volta nella vita, al test per l’Hiv, secondo un rapporto del Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) pubblicato nel rapporto Morbidity and Mortality Weekly. Proprio i Cdc, fin dal 2006, avevano raccomandato uno screening universale per l’infezione da Hiv per le persone di età compresa tra 13 e 64 anni e almeno una revisione annuale per le persone ad alto rischio. La ragione di questo appello sta nel fatto che molti sieropositivi non sanno di esserlo e se ne accorgono solo quando compaiono i sintomi dell’immunodeficienza, mettendo così a rischio la propria salute senza approfittare dei trattamenti esistenti ed esponendo a maggiori probabilità di contagio i propri partner sessuali.
Non è chiaro quanti siano gli italiani che non si sono mai sottoposti a test, ma certamente esiste un’area sommersa che, come dice il presidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) Massimo Galli, si stima sia composta da15-20 mila persone, che in gran parte hanno contratto l’infezione da tempo ma non ne sono consapevoli.
Vengono invece rilevate le nuove diagnosi; «il loro numero è sostanzialmente stabile – riferisce Galli – con una piccola riduzione che non si sa quanto sia rappresentativa di un reale trend destinato a durare e spesso si riferiscono a situazioni pregresse; invece, non si ragiona quasi mai sulle nuove infezioni: sono difficili da determinare, ma una stima riferita al 2017 la ha valutate in circa 2.770, quasi sette al giorno, una cifra decisamente preoccupante».
L’esistenza del sommerso è testimoniata dalle modalità con cui i sieropositivi giungono alla diagnosi. «Si è visto che solo il 26% di coloro che hanno ricevuto una nuova diagnosi di positività all’Hiv nel 2018 si era sottoposto al test perché sapeva di aver avuto comportamenti a rischio; in tutti gli altri casi – spiega Galli – la percezione del rischio non c’era; talvolta l’infezione è stata diagnosticata durante controlli di routine, magari in occasione dei test a cui le donne si erano sottoposte a causa di una gravidanza, oppure in condizioni particolari come le carceri. Ma la percentuale più elevata, circa il 32%, è relativa a cittadini che si erano rivolti al medico a causa di una sieropositività di vecchia data che aveva debilitato il sistema immunitario fino a diventare sintomatica. Uno scenario di questo tipo dovrebbe imporre una maggiore attenzione al test e ancor di più alla prevenzione».
Fonte Doctor 33