Dimentichiamo per poter decidere. Troppi ricordi ci paralizzano
Tenere tutto a mente non sarebbe «un sogno», ma un incubo. Non perché non avremmo spazio per nuove informazioni, ma perché non potremmo agire.
Sarebbe un sogno poter ricordare tutto quello che si è letto anche una sola volta. Per gli studenti sarebbe una pacchia. Fine di tante ore sui libri e del patema da esame. Letto, uguale studiato, uguale mai più dimenticato. Peccato che questo sogno sarebbe allo stesso tempo un incubo, perché la mente ha bisogno di imparare ma anche di dimenticare, altrimenti non sarebbe in grado di svolgere uno dei suoi compiti più importanti: prendere decisioni fondate. In altre parole, la mente deve trovare un equilibrio tra persistenza e transitorietà delle sue memorie, per essere in grado di fare le generalizzazioni necessarie che servono per prendere delle decisioni.
Gli studi
Ecco perché da un punto di vista dell’evoluzione della mente umana si è giunti nel corso dei millenni a questo equilibrio, ed ecco perché sarebbe impossibile e anche svantaggioso ricordare tutto. «Negli ultimi anni c’è stato un incremento del numero delle ricerche focalizzate sui meccanismi della transitorietà della memoria» dicono Blake Richards e Paul Frankland, psicobiologi dell’University di Toronto, autori di un articolo sull’argomento pubblicato sulla rivista Neuron. E citano il caso di un famoso paziente del neuropsicologo sovietico Aleksandr Lurija, che poteva dimenticare solo attraverso uno sforzo attivo della mente, ma che era incapace di generalizzazioni e quindi di prendere decisioni. L’interesse verso la transitorietà, dopo che per molto tempo i neuroscienziati si erano concentrati soprattutto sulla persistenza delle informazioni, segnala un cambiamento nell’approccio allo studio della memoria, dei meccanismi di apprendimento e delle abilità decisionali. Oggi i neuroscienziati cominciano ad avere un’idea chiara della neurobiologia dell’apprendimento.
Come impariamo
Imparare qualcosa vuol dire provocare un cambiamento in un network di neuroni, che rafforzano i collegamenti tra di loro, sostenuti dalle sinapsi, punti di contatto e comunicazione tra queste fondamentali cellule del sistema nervoso. Quando la mente va a ricercare nella memoria quell’informazione, in pratica sta andando a riattivare quello specifico network. Lo stesso succede, al contrario, quando quell’informazione viene dimenticata. In tal caso si perde il rafforzamento delle connessioni in quello specifico network di neuroni che si era creato al momento in cui il ricordo era stato fissato. Un sistema straordinario, che riesce a bilanciare in maniera automatica dimenticanza, e apprendimento, riuscendo a far funzionare la mente così come la conosciamo.
La memoria è più «capiente»
In passato si è creduto per diverso tempo che i processi di dimenticanza servissero a «fare spazio» a nuove informazioni più recenti e quindi potenzialmente più importanti, ma ora si sa che di questo fare spazio il cervello umano non ha bisogno. «Quando consideriamo il numero di neuroni e di sinapsi che ci sono nel cervello, ci rendiamo conto che esiste la potenzialità di immagazzinare molte più informazioni di quelle effettivamente conservate — spiegano i due neurobiologi canadesi —. Il cervello umano possiede circa 80-90 miliardi di neuroni. Se solo ne dedicassimo un decimo a fissare ricordi di specifici eventi, allora, in accordo con stime di capacità in network auto-associativi, potremmo immagazzinare approssimativamente un miliardo di ricordi individuali. Inoltre, se consideriamo i ricordi registrati in maniera diffusa, questo numero potrebbe crescere di diversi ordini di grandezza». Quindi non è un problema di spazio di memoria, come capita con l’hard disk di un personal computer.
Unico «antidoto»? Ripetere
«Noi ipotizziamo che la transitorietà della memoria sia richiesta in un mondo che cambia e che ha un alto livello di rumore informativo di fondo», spiegano i ricercatori. È solo così che gli esseri umani possono avere un comportamento flessibile; se la nostra mente dovesse fotografare tutto indistintamente, prenderebbe decisioni troppo rigide e potrebbe fare ipotesi sul futuro completamente sbagliate. «La persistenza — affermano Richards e Frankland — è utile solo quando conserva quegli aspetti dell’esperienza che risultano stabili o che sono utili per predire come andranno nuove esperienze». Se vogliamo provare a limitare la perdita di informazioni di ciò che ci interesserebbe trattenere dopo averlo studiato, si deve per forza passare attraverso la fatica delle continue ripetizioni. Secondo Robert Bjork, del Department of Psychology, University of California a Los Angeles, l’unico modo conosciuto per tentare di frenare questo colabrodo della memoria è ripetere e ripetere, per rinforzare così le tracce mnemoniche. Ma bisogna ripetere in maniera da creare spazi temporali adeguati tra una ripetizione e l’altra, che devono essere né troppo lunghi né troppo brevi, altrimenti l’effetto di rinforzo si perde. E comunque, alla fine, quando si smetterà di ripetere, una gran parte delle informazioni colerà via. È la temuta «curva della dimenticanza».
Chi vuole imparare deve alternare sonno e studio
Un breve sonno, un po’ di studio, un altro pisolino. È il ritmo non dello studente pigro, ma di chi ricorderà meglio la lezione. Il sonno è infatti un facilitatore del consolidamento della memoria, come spiega Susanne Diekelmann, neurobiologa dell’Università di Tubingen, in Germania, in un articolo pubblicato su Frontiers in System Neuroscience. Due sono le teorie che spiegano questa funzione del sonno: le nuove acquisizioni sono riattivate e riorganizzate durante il sonno, così che risultano potenziate; tutte le connessioni sinaptiche sono depotenziate mentre si dorme, tranne quelle dovute alle nuove acquisizioni, così che queste risultano in qualche modo «spiccare» sulle altre. Adesso la ricerca si sta orientando verso lo studio di possibili manipolazioni della riattivazione dei ricordi durante il sonno, attraverso l’uso degli odori o di stimoli acustici di richiamo della memoria.
Il disegno «fissa» le lezioni più del computer
Se un testo è accompagnato da foto e disegni è più facile impararlo e l’utilizzo degli strumenti multimediali consente di associare utilmente testo e immagini, ma resta centrale il livello di attenzione dello studente: «Nella nostra pratica di insegnamento abbiamo notato che gli studenti, mentre utilizzavano immagini interattive computerizzate di tessuti biologici, non le osservavano con attenzione — ha dichiarato un gruppo di ricercatori olandesi, guidati da Monique Balemans, in un articolo su Anatomical Sciences Education. Così si è deciso di tornare alle vecchie maniere, chiedendo agli studenti di disegnare le immagini. Una verifica a una, quattro e sei settimane di distanza ha consentito di verificare che gli studenti che avevano disegnato le immagini mostravano un tasso più elevato di ritenzione dell’apprendimento, rispetto a chi aveva solo osservato le immagini».
Fonte Il corriere della sera: http://www.corriere.it/salute/neuroscienze/17_dicembre_14/dimentichiamo-poter-decidere-troppi-ricordi-ci-paralizzano-788bef38-e0b4-11e7-acec-8b1cf54b0d3e.shtml