Lo Studio Diagnostico Pantheon resterà chiuso dal 1 al 6 Gennaio con riapertura il 7 Gennaio 2020
Si avvisa la gentile clientela che lo Studio Diagnostico Pantheon rimarrà chiuso dal 1 al 6 Gennaio con riapertura il 7 Gennaio 2020.
Si avvisa la gentile clientela che lo Studio Diagnostico Pantheon rimarrà chiuso dal 1 al 6 Gennaio con riapertura il 7 Gennaio 2020.
Un piccolo dispositivo impiantabile, senza cateteri e il bisogno di complicati interventi chirurgici, che attraverso l’Intelligenza artificiale può arrivare a prevedere uno scompenso cardiaco acuto fino a 34 giorni prima della crisi. E’ una delle prospettive future sempre più vicine per la cardiologia, come ha spiegato oggi a Milano Alessandro Capucci, direttore della Clinica cardiologica dell’Ospedale Torrette di Ancona.
“La vera novità – rileva – è l’uso di una serie di algoritmi automatici che ricevono informazioni di parametri fisiologici e danno una diagnosi. Per ora questa attività è stata provata su molti pazienti a cui è stato impiantato un pacemaker defibrillatore biventricolare, collegato con l’ospedale di riferimento”. Si tratta di un’analisi multiparametrica con cui vengono monitorati diversi parametri, tra cui quanto dorme inclinato il paziente, il liquido nel torace, la frequenza respiratoria, il livello di attività fisica, il peso, la frequenza cardiaca notturna, la pressione ed eventuali apnee notturne. “Combinando insieme tutti questi dati – continua Capucci – si possono rilevare modifiche del cuore che possono portare ad un scompenso acuto in media 34 giorni dopo.
L’algoritmo permette di capire subito per quale ragione il battito o la contrazione del cuore iniziano a non essere regolari, permettendo così di intervenire subito, senza aspettare lo scatenarsi della crisi”. Si tratta di cambiamenti che possono aversi magari per un medicinale non preso o un’alterazione interna. “Fra un anno – conclude Capucci – saranno disponibili sistemi senza fili, grandi come il mignolo, da impiantare sotto pelle senza cateteri e tenere per 3 anni, se si ha il sospetto di una patologia. In futuro sarà più frequente sottoporsi all’holter multiparametrico a casa propria, senza dover andare in ospedale. Si tratta però di un aiuto al medico, che non deve smettere di visitare il paziente”.
Fonte:https://bit.ly/2O8SYIb
Si avvisa ala gentile clientela che lo Studio Diagnostico Pantheon rimarrà chiuso dal 12 agosto 2019 fino al 1 settembre 2019. Riapertura il 2 settembre 2019.
La Direzione
Da uno studio svolto all’Università di California San Francisco in collaborazione con la Planned Parenthood Federation of America emerge che in un anno le gravidanze indesiderate sono calate in modo significativo dopo la formazione degli operatori sanitari sui vantaggi contraccettivi del dispositivo intrauterino e dell’impianto contraccettivo sottocutaneo, un metodo ormonale che non richiede interventi da parte dell’utilizzatrice offrendo fino a tre anni di protezione. Al trial, pubblicato su The Lancet, prima autrice Cynthia Harper del Bixby center for global reproductive health all’Ucsf, hanno preso parte 40 consultori di pianificazione familiare e 1.500 donne tra 18 e 25 anni.
«Questo è il primo studio randomizzato che valuta l’efficacia di un intervento clinico nella riduzione del numero di gravidanze indesiderate, circa la metà di tutti i concepimenti nel paese» sottolinea la ricercatrice, spiegando che se i dispositivi intrauterini e gli impianti contraccettivi sottocutanei, noti anche come Larc, Long-acting reversible contraceptives, sono noti per essere più efficaci della pillola e del condom, gli operatori sanitari non li includono d’abitudine tra i metodi consigliati. E questo nonostante l’American college of obstetricians and gynecologists sostenga dal 2009 che i Larc dovrebbero essere usati come contraccettivi di prima linea nella maggior parte delle donne alla luce della loro elevata sicurezza ed efficacia. «Viceversa, studi svolti in precedenza dimostrano che solo il 38% dei medici statunitensi consigliano i Larc alle adolescenti, mentre il 53% li offre alle donne senza figli e il 25% alle donne dopo un aborto» precisano gli autori, che hanno assegnato in modo casuale i medici di metà dei 40 consultori coinvolti nello studio a ricevere una formazione sui Larc, mentre l’altra metà dei centri ha svolto la consueta attività. «Le donne che hanno preso parte allo studio volevano tutte avere una consulenza contraccettiva per non rimanere incinte nei 12 mesi successivi» precisa Harper. E al termine dello studio i risultati indicano che meno dell’1% delle donne che hanno usato un Larc ha avuto una gravidanza inaspettata, rispetto al 9% di chi ha preso la pillola e al 18% di chi ha usato il condom. Nel complesso, il 71% degli operatori sanitari formati sui Larc ha consigliato la contraccezione a lungo termine alle loro pazienti, rispetto al 39% dei medici nel gruppo di controllo. Tant’è che a conti fatti risulta che il 28% delle donne nel gruppo di intervento ha scelto un Larc rispetto al 17% del gruppo di controllo.
«Il che, tradotto in numeri, vuol dire che grazie alla formazione il tasso di gravidanze indesiderate è sceso da 15% a 8% in un anno» affermano gli autori. E Carolyn Westhoff, consulente medico di Planned parenthood federation of America nonché coautrice dell’articolo, conclude: «Lo studio dimostra quanto sia importante che gli operatori sanitari abbiano informazioni complete sui metodi contraccettivi disponibili, così da poter fornire la migliore consulenza contraccettiva alle donne che ne facciano richiesta».
Lancet 2015. doi: 10.1016/S0140-6736(14)62460-0
Fonte Doctor33: https://bit.ly/2T2CJNq
Sono anni – troppi – in cui ciclicamente sentiamo parlare di castrazione chimica, come pena per reati di carattere sessuale compiuti e prevenzione per quelli che si potrebbero compiere.
Ma, prima di esprimere un giudizio di carattere valutativo, sappiamo davvero di cosa si tratta?
Nata come trattamento di tumori ormono-dipendenti (es: cancro alla prostata) la castrazione chimica è una forma di inibizione dell’attività delle gonadi, ottenuta per mezzo di farmaci – detti volgarmente farmaci anafrodisiaci – e caratterizzata da una repressione della libido (o desidero sessuale) e può essere reversibile o irreversibile, a seconda delle sue finalità.
Differisce dalla castrazione chirurgica dove l’inibizione dell’apparato riproduttivo maschile o femminile è ottenuta attraverso la rimozione delle gonadi (orchiectomia, nell’uomo, e ovariectomia, nella donna) ed è quindi sempre irreversibile.
La castrazione chimica come forma di pena per i reati a sfondo sessuale è una pratica dagli effetti reversibili, adottata in diversi Paesi del Mondo, tra cui: gli Stati Uniti, l’Australia, l’India, il Regno Unito, la Francia, la Polonia, l’Estonia, la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, la Spagna, la Germania, la Russia, il Canada, l’Argentina, l’Indonesia, lo Stato di Israele e la Corea del Sud.
In Italia e tornata al centro del dibattito politico per un emendamento presentato dalla Lega al ddl ‘Codice rosso‘ e per essere stata invocata da Matteo Salvini per l’ultimo caso di Catania.
Il ministro dell’Interno ha ribadito che il Blocco androgenico (questo il nome che compare nel testo della legge) è una proposta della Lega ferma da venti anni in Parlamento e che può essere appoggiata da chi lo ritenga opportuno.
Rilanciata in questi giorni dal Ministro Giulia Bongiorno, che ha specificato che prevederà che “la sospensione condizionale della pena” possa essere “subordinata a trattamenti terapeutici o farmacologici inibitori della libido con il consenso del condannato”, sta creando un altro scontro nella maggioranza. Perché se per la Lega questo provvedimento è uno dei cavalli di battaglia storici, un pallino di Roberto Calderoli, i grillini dicono no. E lo fanno attraverso i cavilli tecnico-giuridico.
Intanto l’opinione pubblica si spacca fra chi è favore ritenendola una misura idonea contro un atto ignobile come la violenza sessuale, e chi la ritiene un provvedimento giustizialista che non può essere efficace per contrastare reati a sfondo sessuale.
Vito Monti Direttore dello Studio Diagnostico Pantheon
Il trattamento con quizartinib aumenta in modo significativo la sopravvivenza complessiva (Os) dei pazienti con leucemia mieloide acuta (Lma) refrattaria/recidivante (R/R) con mutazioni di Flt3-Itd rispetto alla chemioterapia standard. È quanto emerso al 60° meeting annuale della Società americana di ematologia (Ash) di San Diego, dove sono state presentate le analisi finali sullo studio Quantum R. Quest’ultimo ha valutato in monoterapia quizartinib, farmaco per via orale che, rispetto alla chemioterapia di salvataggio, aumenta la sopravvivenza complessiva (Os) fino a 6 mesi dei pazienti affetti da Lma R/R con mutazioni di Flt3-Itd (mutazione pilota della Lma che si manifesta con elevato carico leucemico, presenta una prognosi sfavorevole e un significativo impatto sulla gestione della malattia). Le analisi di sensibilità prespecificata dell’Os e della sopravvivenza libera da eventi, così come le analisi di sottogruppi predefiniti dello studio Quantum R su quizartinib sono risultate coerenti con l’analisi primaria dell’Os. Anche l’analisi degli endpoint-chiave esplorativi, quali la remissione completa composita (Crc), la durata della Crc e il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (Hsct), è risultata concordante e supporta il beneficio sulla Os primaria dimostrato nello studio Quantum R. «Queste nuove analisi supportano ulteriormente il valore del targeting della mutazione pilota Flt33-Itd con un potente inibitore Flt3 altamente selettivo, quale è il quizartinib, che contribuisce a ridurre il carico leucemico e potenzialmente consente ai pazienti di vivere più a lungo rispetto alla terapia basata sulla chemioterapia di salvataggio» ha affermato Jorge E. Cortes, ricercatore e vicepresidente del dipartimento di Leucemia presso l’University of Texas MD Anderson Cancer Center. Il profilo di sicurezza osservato nello studio Quantum R appare concordante con quello osservato a dosi simili nel programma di sviluppo clinico del quizartinib, attualmente in fase III di sperimentazione sia per la Lma R/R con mutazioni Flt3-Itd (studio Quantum R) in Usa e Ue, sia per la Lma di nuova diagnosi con mutazioni Flt3-Itd (studio Quantum First) in Usa, Ue e Giappone. Il farmaco ha ottenuto dalla Food and drug administration (Fda) la priority review e la designazione di “breakthrough therapy” per il trattamento dei pazienti adulti affetti da Lma R/R con mutazioni Flt3-Itd e la designazione “fast track” per il trattamento della Lma R/R. Dall’Agenzia europea dei medicinali (Ema), ha ottenuto la valutazione accelerata per il trattamento dei pazienti adulti affetti da Lma R/R con mutazioni Flt3-Itd. Infine, ha avuto la denominazione di farmaco orfano dalla stessa Fda e dalla Commissione europea (Ce) per il trattamento della Lma.
Un avanzamento clinico nella gestione della leucemia mieloide cronica (Lmc) viene da un lavoro internazionale coordinato dall’Italia, finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) e dalla Regione Lombardia, e guidato da Carlo Gambacorti-Passerini, docente di Ematologia all’università degli studi di Milano-Bicocca e direttore del reparto di Ematologia dell’ospedale San Gerardo di Monza. Lo studio è stato condotto con imatinib, inibitore delle tirosin chinasi associate con la proteina Bcr/Abl – causa della Lmc – che ha cambiato profondamente la prognosi della neoplasia tanto che ora un paziente può avere un’aspettativa di vita normale. «In molti casi» ha riferito Gambacorti-Passerini «si arriva dopo alcuni anni di trattamento in una situazione in cui non c’è più nessun segno rilevabile della presenza della leucemia e non è semplice capire se il paziente vada trattato ulteriormente». Il centro guidato dallo specialista e altri 14 distribuiti nella Penisola, in altri Paesi d’Europa e nel resto del mondo, hanno coinvolto 112 persone con Lmc: pazienti senza segni rilevabili di malattia da almeno 18 mesi, che avevano interrotto la terapia e sono stati in seguito strettamente monitorati.
I risultati finali dello studio Isav (Imatinib stop and validation), ottenuti dopo quasi 7 anni dall’avvio, indicano che «circa il 50% dei pazienti non ha dovuto riprendere la terapia con imatinib mentre nell’altra metà dei casi i pazienti hanno mostrato un risveglio della malattia e pertanto hanno dovuto riprendere la terapia. Tutti i pazienti recidivati hanno comunque riottenuto una remissione della leucemia con la ripresa del trattamento e in nessun caso si è sviluppata resistenza al farmaco». Secondo Gambacorti-Passerini «è importante notare che, mentre la maggior parte di questi pazienti ha sviluppato recidiva entro 7-8 mesi dall’interruzione della terapia, in alcuni casi ciò è avvenuto dopo anni». Da un punto di vista pratico, conclude l’ematologo «è molto rilevante sapere che alcuni pazienti affetti da Lmc possono in effetti sospendere la terapia e che la loro percentuale è pari a circa il 20-25% del totale. Rimane altrettanto importante ricordare che la presenza di cellule leucemiche deve essere monitorata in ogni caso per diversi anni dopo la sospensione del trattamento».
Ancora la ricerca italiana sugli scudi al Congresso Ash, in questo caso per un’innovativa strategia prognostica relativa al mieloma multiplo (Mm). Scienziati dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano hanno infatti scoperto, per ora su modello animale, che alcuni batteri del microbiota intestinale – in particolare appartenenti alla specie Prevotella heparinolytica, presente anche nell’uomo – interagendo con il sistema immunitario sembrano favorire la moltiplicazione di linfociti infiammatori coinvolti nella progressione della malattia. Pubblicato su “Nature Communications”, lo studio – sostenuto dall’Airc e svolto dal team di Matteo Bellone, direttore dell’Unità di Immunologia cellulare dall’Istituto del gruppo ospedaliero San Donato – è «fra i primi a tracciare una linea di influenza diretta tra il microbiota intestinale e una forma di cancro che ha sede in un altro organo». Gli autori, inoltre, hanno individuato nell’interleuchina-17 (Il-17) un marcatore che potrebbe predire l’aggressività del Mm nei pazienti ancora asintomatici, suggerendo l’efficacia di alcuni farmaci antinfiammatori già in commercio nel rallentarne la progressione. «Pur trattandosi di risultati sperimentali» commenta Bellone «offrono nuove speranze non solo di poter presto riconoscere i pazienti a maggiore rischio di sviluppare Mm, ma anche di poter agire in anticipo, riuscendo a contenere la malattia». La malattia vera e propria, ricordano infatti i ricercatori, è preceduta da una fase indolente e asintomatica, in cui alcune plasmacellule hanno già acquisito caratteristiche tumorali e producono una proteina che può essere rilevata nel sangue e nelle urine pur in assenza di altre manifestazioni patologiche (dolori e fratture ossee, debolezza, etc.).
Gli scienziati, valutando il possibile ruolo della flora batterica intestinale come ‘trigger’ della fase latente, hanno verificato che la Prevotella heparinolytica favorisce la moltiplicazione di alcuni linfociti infiammatori coinvolti nella progressione del cancro i quali, attivati nell’intestino, migrano nel midollo osseo dove alimentano la proliferazione delle plasmacellule tumorali e favoriscono il passaggio della malattia dalla fase asintomatica a quella conclamata attraverso il rilascio di Il-17. «Visto il ruolo-chiave svolto nella progressione della malattia e alla luce di dati da noi ottenuti in un piccolo numero di pazienti» ha affermato Arianna Brevi, prima autrice del lavoro insieme ad Arianna Calcinotto, «Il-17 potrebbe diventare uno strumento predittivo», ovvero «misurare la quantità di questa molecola nel midollo di pazienti asintomatici potrebbe costituire il primo marcatore di rischio, in grado di indicare i soggetti in cui il Mm è in procinto di manifestarsi». Per testare l’ipotesi gli studiosi hanno bloccato Il-17 e altre molecole infiammatorie coinvolte nella progressione del tumore nel midollo usando farmaci antinfiammatori già in commercio e hanno modificato a monte la flora batterica dei modelli murini tramite antibiotici e il trapianto di specie batteriche ad azione antinfiammatoria. L’esito In entrambi i casi è stato positivo, con il rallentamento del passaggio della malattia dalla fase asintomatica a quella conclamata.
Fonte Doctor33: https://bit.ly/2E5LouI
I pazienti in terapia con l’anticorpo monoclonale rituximab devono essere sottoposti a screening per ipogammaglobulinemia prima e dopo la somministrazione del farmaco, a causa del rischio di ipogammaglobulinemia prolungata e infezioni associate, secondo uno studio pubblicato su JAMA Network Open. «Il Rituximab Consensus Expert Committee ha in passato raccomandato di valutare le IgG al basale prima di iniziare rituximab per il trattamento dell’artrite reumatoide e di ricontrollarle in occasione di ogni ciclo di cura. Rituximab è però indicato in parecchie altre patologie, ed è usato anche off-label, ma non si ha una guida precisa con un’indicazione di esami da eseguire in occasione dell’uso» dice Sara Barmettler, del Massachusetts General Hospital di Boston, prima autrice del lavoro. I ricercatori hanno valutato 4.479 pazienti che hanno ricevuto rituximab per determinare i livelli di screening per l’ipogammaglobulinemia, i rischi infettivi associati a ipogammaglobulinemia e le variabili associate a un aumento della mortalità. Ebbene, l’analisi ha mostrato che la maggior parte dei pazienti (85,4%) non ha effettuato controlli dei livelli di immunoglobulina nei 12 mesi precedenti l’inizio della terapia con rituximab. Tra i pazienti controllati, il 47,8% ha presentato ipogammaglobulinemia da lieve a grave e, scendendo nel dettaglio, il 19,3% dei pazienti con livelli normali di IgG prima della terapia con rituximab ha sviluppato ipogammaglobulinemia da lieve a grave, così come il 23,1% di quelli con ipogammaglobulinemia lieve al basale e il 21,5% di quelli con ipogammaglobulinemia moderata al basale. I tassi di infezione grave sono risultati significativamente più alti nei sei mesi dopo l’inizio di rituximab (21,7%) rispetto ai sei mesi precedenti (17,2%) e più elevati tra i pazienti con ipogammaglobulinemia al basale. Il verificarsi di gravi complicanze infettive nei sei mesi prima e dopo l’infusione di rituximab è stato associato a un aumento significativo della mortalità. Tra i pazienti che hanno ricevuto una sostituzione di immunoglobuline (IgR) dopo il trattamento con rituximab, dosi cumulative più elevate di immunoglobulina sono state associate a un rischio significativamente ridotto di gravi complicazioni infettive.
doi:10.1001/jamanetworkopen.2018.4169
Fonte Doctor33: https://bit.ly/2Ar1ZWk
Gli italiani sono i più sani d’Europa. Il nostro Paese è primo nel vecchio continente per lo stato di salute della popolazione, migliorando dal terzo posto dello scorso anno, secondo il Meridiano sanità Index. E’ quanto emerso oggi nel corso della XIII edizione del Forum Meridiano sanità, durante la quale è stato presentato il Rapporto annuale Meridiano sanità elaborato da The European House – Ambrosetti.
L’Italia si posiziona “molto meglio della media se si considerano l’aspettativa di vita alla nascita, i tassi di mortalità, l’indice dei fattori di rischio per gli adulti e il tasso di prevalenza standardizzato per patologie croniche ad alto impatto”, evidenzia il Rapporto, secondo cui, però, il futuro potrebbe mettere a rischio questo primato: “L’indice di mantenimento dello stato di salute del Meridiano sanità Index evidenzia alcune situazioni di criticità per il nostro Paese, che riporta un punteggio inferiore alla media europea anche se più alto rispetto al 2017. Tra i fattori che mettono più a rischio la sostenibilità dell’attuale livello di salute ci sono la capacità di risposta del sistema sanitario agli emergenti bisogni di salute, alcuni casi di inappropriatezza delle prescrizioni e il livello delle risorse economiche a disposizione della sanità”.
Intanto, secondo la fotografia scattata da Meridiano sanità per verificare come è cambiato lo stato di salute degli italiani negli ultimi 40 anni, ossia dal 1978, quando è stato istituito il Ssn, i connazionali hanno guadagnato quasi 10 anni, raggiungendo un’aspettativa di vita media alla nascita di 83,3 anni. Seppure “con importanti diseguaglianze territoriali, con una differenza di 3,4 anni tra la provincia di Firenze – 84,2 anni in media tra uomini e donne – e la provincia di Caserta – 80,8 anni”. Nel complesso l’Italia continua a invecchiare: nel prossimo ventennio il 31% della popolazione avrà più di 65 anni, a fronte di una quota ridotta al 57% della popolazione attiva (15-64 anni).
Non solo. Fra le maggiori criticità figura “l’indice dei fattori di rischio per i bambini”, confermando “la necessità di investire maggiormente in prevenzione, stili di vita e abitudini alimentari e comportamentali dei più giovani, per non compromettere lo stato di salute della popolazione nei prossimi anni, oltre agli anni vissuti con disabilità”. L’Italia si conferma il Paese più anziano d’Europa, con il 22,4% di ‘over 65’ e solo 7,6 nati per 1.000 abitanti. Al 2050, la differenza tra ‘over 65’ e ‘under 5’ sarà pari a 17 milioni di persone. L’invecchiamento della popolazione e gli impatti delle patologie croniche – si legge – proiettano la spesa sanitaria dall’attuale 6,6% all’8,3% del Pil nel 2050, secondo lo scenario previsionale di Meridiano sanità, passando da 116 miliardi di euro di oggi a 213 miliardi nel 2050.
Secondo la fotografia scattata dal Rapporto, lo stato di salute migliore si rileva nelle Province autonome di Bolzano e Trento, con un punteggio rispettivamente di 9,4 e 9,1. Al contrario, le performance peggiori sono registrate dalle regioni del Sud Italia, in particolare dalla Campania (il cui punteggio è pari a 2,7). Per quanto riguarda l’indice di mantenimento dello stato di salute, Emilia Romagna, Lombardia e Toscana registrano le performance migliori. E sono le regioni con lo stato di salute migliore, tutte del Nord, a vantare anche un indice di mantenimento dello stato di salute maggiore. Questo suggerisce come, “purtroppo, il divario tra Nord e Sud sembra destinato ad aumentare”.
Secondo Meridiano sanità, “occorre dunque investire in prevenzione e innovazione per affrontare le sfide di salute del nostro Paese e rispondere alle esigenze dei cittadini. Infatti un aumento dell’1% dell’incidenza della spesa in prevenzione sulla spesa sanitaria comporta, in media, una diminuzione del 3,1% dell’incidenza della spesa per prestazioni terapeutiche, riabilitative, socio-assistenziali e previdenziali”. Le patologie non incidono solo sul sistema sanitario e socio-assistenziale, ma anche sul sistema produttivo ed economico. E fra le malattie croniche ad alto impatto, alcuni studi stimano ad esempio un costo pari a 21 miliardi di euro per quelle cardiovascolari e 19 miliardi per i tumori.
Fonte AdnKronos Salute: https://bit.ly/2OHMdvc
Un setting organizzato presso il medico di famiglia e tanta educazione sanitaria; questo rende gli inglesi a prova di epidemia “di ritorno”: contro morbillo e influenza si vaccinano di più, seguono tedeschi e olandesi, poi i francesi e quindi, a metà classifica, noi italiani. Ultimi, i paesi dell’Est con le loro “eterogenee” performance. Lo dice il rapporto State of vaccine confidence in the EU 2018, studio dell’Unione Europea sull’esitazione vaccinale per trivalente (MMR-morbillo parotite e rosolia) e antinfluenzale su 28 mila cittadini e mille medici di famiglia. L’Ue l’ha commissionata preso atto che i casi di morbillo sono quadruplicati tra 2010 e 2017, e ci si copre meno del dovuto per l’influenza. Rispetto al 100% di “target” vaccinale ideale, in Italia contiamo quasi un 20% di non convinti della sicurezza dei vaccini, un 27% ha dubbi sulla sicurezza dell’antinfluenzale, comunque praticato nel 52% degli over 65, risultato lontano dal 70% di copertura britannico ma tra i meno peggio. In ogni caso, tra gli item proposti, nessuna risposta positiva raggiunge il 95%, soglia oltre cui gli epidemiologi reputano la copertura efficace a eradicare una patologia. Anche sull’efficacia dei prodotti il nostro 90% di confidenti è un punteggio basso. E i medici di famiglia? Quelli italiani sono a metà classifica tra i “convinti” dai vaccini, con una media del 95%. Rispetto a inglesi, francesi e tedeschi, scontano quattro punti di sfiducia (94 vs 98%) nel definire “sicuri” i vaccini in commercio, e altrettanti nel definirli efficaci, e 2-3 punti nel raccomandarli ai bambini (96 contro 98-99%). Risaliamo nel suggerire l’antinfluenzale, siamo al 97% con gli inglesi, ma non alle donne incinte: (85% dei Mmg vs 96% dei general practitioners Uk).
Come ottiene il medico britannico le sue performance? Intanto, l’immunizzazione avviene negli studi dei medici di famiglia. «Il trivalente MMR lo facciamo nei nostri ambulatori, dove ci occupiamo anche dei bambini essendo i pediatri solo ospedalieri in Uk», spiega Marco Nardelli medico italiano a Londra. «Di routine vaccina la nostra infermiera, di comune accordo con l’health visitor». Si tratta di un’infermiera o di un’ostetrica che «offre consigli alimentari, curve di crescita, controlla che i bambini siano vaccinati, collabora con i servizi sociali se ci sono preoccupazioni, talvolta va a casa dei bambini per controllare le condizioni e l’ambiente familiare. E segue i protocolli alla lettera, c’è poco spazio per ‘opinioni personali’, sottoposta al controllo da parte del Mmg, dei pediatri e di un sistema di audit alle spalle che farebbe scattare red flags se ci fosse un calo nella copertura, e nelle sue statistiche personali». Per l’influenza, il setting è ancor più controllato dal GP. «Pratichiamo noi il vaccino con infermiere o health care assistant, figura simile all’operatore socio sanitario, che in Uk effettua spirometrie, vaccini antiinfluenzali, pneumococco, iniezioni vitamina b12, misura pressione e fa prelievi (mentre gli infermieri si occupano più di piani di cure annuali, piani per asma e bpco, visita semestrale diabete, pap test). Di recente -conferma Nardelli- il nostro servizio sanitario ci ha messo in competizione con la farmacia: quest’ultima può vaccinare. E chi prima arriva, prima è pagato per numero di pazienti immunizzati». In Italia siamo indietro. Per Alfredo Cuffari, segretario Snamid, «abbiamo avuto problemi nel messaggio mediatico e nell’organizzazione tecnica. Il primo impatta sulle convinzioni dei pazienti: dal 2002 al 2014, cioè da quando abbiamo iniziato a praticare nel Lazio l’antinfluenzale ai pazienti, i tassi di adesione si sono impennati; poi, quando sui giornali si parlò di ben cinque decessi legati al vaccino, vi fu un crollo. Si dimostrò in seguito che le vittime erano anziani cronici poli-patologici e non si potevano addossare colpe al prodotto, ma la notizia non è circolata con la stessa forza, ed è rimasto nell’immaginario collettivo che l’antinfluenzale fa male. Solo ora stiamo risalendo». Non sembrano altrettanto gravi i problemi “tecnici”. «Quando ho preso appuntamenti con gli assistiti e poi ho dovuto disdettarli perché non sarebbe arrivato in tempo il vaccino, non ho avuto problemi a riconvocare tutti appena giunto il prodotto».
Cuffari, Mmg di estrazione pediatrica, dice la sua anche sul trivalente: «Lo suggeriamo dacché era facoltativo, ma qui forse entra in gioco una piccola percentuale in più di colleghi scettici rispetto a Regno Unito e Germania. È difficile da eradicare in parte della popolazione la convinzione che il morbillo si superi; non si percepisce che genera complicanze, talora gravi. La presenza di strutture polivalenti, di una forma di équipe come in Uk, può essere di stimolo per la decisione dell’utente; e una buona informazione mediatica riferita al medico da un assistito attento può fare la differenza. Il medico – anche scettico- dovrebbe recepire».
Mauro Miserendino
Fonte Doctor33: https://bit.ly/2Qf4dPr
Due nuovi farmaci per il trattamento del carcinoma polmonare sono stati posti all’attenzione di clinici e ricercatori in occasione della 19esimac onferenza mondiale della dell’International Association for the Study of Lung Cancer (IASLC) sul carcinoma polmonare che si è svolta a Toronto,
Il primo è il [fam-] trastuzumab deruxtecan, un farmaco anticorpo-coniugato sperimentale oggetto di un ampio programma di sviluppo attualmente in corso in Nord America, Europa e Asia.
Nel meeting IASLC sono stati diffusi risultati promettenti ottenuti nei pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) metastatico non squamoso, con sovraespressione di HER2 o mutazione HER2.
L’NSCLC è il tipo più frequente di carcinoma polmonare e quando è metastatico comporta una sopravvivenza a cinque anni minima, intorno all’uno per cento; inoltre, mutazioni specifiche del gene HER2 e una sua sovraespressione sono associate a una prognosi particolarmente sfavorevole.
Nella sperimentazione presentata a Toronto, il trattamento con [fam-] trastuzumab deruxtecan di 17 pazienti affetti da NSCLC con mutazione o espressione di HER2 pretrattati ha ottenuto una risposta globale confermata del 58,8% e un controllo della malattia dell’88,2%. La durata mediana della risposta ha raggiunto i 9,9 mesi e la sopravvivenza mediana libera da progressione i 14,1 mesi.
Il secondo farmaco è il durvalumab, un anticorpo monoclonale umano diretto contro la proteina PD-L1. È stato sperimentato in uno studio di studio di fase III multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo, come trattamento di pazienti “all-comer” (cioè non selezionati in base all’espressione di PD-L1) con NSCLC non resecabile in stadio III (localmente avanzato) la cui malattia non era progredita dopo chemio-radioterapia (CRT) a base di platino.
Durvalumab ha migliorato significativamente la sopravvivenza globale rispetto allo standard di cura, indipendentemente dall’espressione di PD-L1 sulla superficie del tumore, riducendo il rischio di morte del 32%, mentre era già stato reso noto che la sopravvivenza libera da progressione ha dimostrato un vantaggio di oltre 11 mesi.
Tra i pazienti che hanno ricevuto durvalumab, gli eventi avversi più comuni sono stati tosse, astenia, dispnea e polmonite da radiazioni e il 15,4% ha interrotto il trattamento per eventi avversi contro il 9,8% riscontrato nel gruppo placebo.
Durvalumab rappresenta così la prima immunoterapia a dimostrare un beneficio nella sopravvivenza globale nel tumore del polmone in stadio III, non resecabile e ha ricevuto pochi giorni fa l’approvazione da parte della Commissione Europea.
Fonte Doctor33: https://bit.ly/2Cwcjje