Alimentazione e bellezza, attenzione ai falsi miracoli!
Parla Paola Bassani, medico chirurgo specializzato in Scienze dell’Alimentazione e Medicina Estetica
Parla Paola Bassani, medico chirurgo specializzato in Scienze dell’Alimentazione e Medicina Estetica
Le donne più anziane e più deboli con osteoporosi sono quelle che potrebbero beneficiare maggiormente della terapia farmacologica. Questa è la conclusione di uno studio pubblicato su JAMA Internal Medicine. Rispetto alle donne di 80 anni o più con alto rischio di fratture ma senza osteoporosi, quelle con osteoporosi hanno il triplo rischio di frattura dell’anca nei successivi 5 anni. Nonostante la frattura all’anca sia un problema comune nelle donne anziane, la presenza di comorbilità rende difficile la gestione farmacologica dell’osteoporosi, tanto che alcuni medici ritengono che i rischi superino i benefici. «I medici dovrebbero prendere in considerazione l’inizio del trattamento farmacologico per prevenire la frattura nelle donne anziane con osteoporosi (T-score di densità minerale ossea ≤-2,5) e con comorbilità multiple, poiché questo gruppo di donne può trarre il massimo beneficio assoluto del trattamento per prevenire le fratture dell’anca» afferma la prima autrice Kristine Ensrud, della University of Minnesota, negli Stati Uniti. Attualmente, ci sono poche prove a supporto dell’uso di farmaci per l’osteoporosi in donne molto anziane, perché gli studi randomizzati spesso escludono questo gruppo.
In questo studio sono state coinvolte 1.528 donne con età media di 84 anni e mai state in cura per l’osteoporosi. In 5 anni l’8% ha avuto una frattura dell’anca e il 18,8% è deceduto. Nel gruppo di donne con osteoporosi (n=761) la probabilità di frattura dell’anca è stata del 13%, mentre nel gruppo senza osteoporosi ma con alto rischio di frattura (n=767) è stata di 4%. La differenza tra i gruppi è aumentata in caso comorbilità e prognosi peggiore: il rischio è stato di 18,1% nelle donne con osteoporosi e di 2,5% in quelle senza la patologia quando presenti almeno 3 comorbilità. La probabilità di mortalità invece (24,9% nel gruppo con osteoporosi e 19,4% in quello senza) è sempre aumentata in caso di più comorbilità e prognosi peggiore. «I risultati dello studio sono di grande importanza clinica» scrive in un editoriale correlato Sarah Berry, dell’Harvard Medical School, negli Stati Uniti. «Le donne con più di 80 anni dovrebbero essere informate sul loro rischio di frattura all’anca e essere prese in considerazione per lo screening dell’osteoporosi anche se hanno breve aspettativa di vita e diversi problemi medici» commenta Ensrud.
JAMA Intern Med. 2019 Jun 17. doi: 10.1001/jamainternmed.2019.0682.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31206140
JAMA Intern Med. 2019 Jun 17. doi: 10.1001/jamainternmed.2019.0688.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31206129
L’impiego di adeguati trattamenti estetici è in grado di migliorare notevolmente la qualità della vita (QoL) dei pazienti in terapia oncologica, in particolare delle donne in trattamento per carcinoma mammario, attraverso una riduzione dei sintomi dolorosi e ansiogeni legati a lievi reazioni cutanee avverse correlate alla stessa terapia oncologica. Il dimezzamento dello stress così ottenuto, inoltre, determina positive ricadute sull’esito delle cure, favorendo l’adesione al trattamento e l’efficacia delle diverse terapie. È quanto dimostra uno studio clinico pilota condotto presso lo ‘Spazio benessere’ dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, applicando i protocolli dell’Associazione professionale di estetica oncologica (Apeo). Lo studio, che ha coinvolto 170 pazienti, ha valutato in particolare quanto l’uso appropriato di specifici prodotti cosmetici fosse efficace nel migliorare la QoL delle donne durante e dopo il trattamento oncologico. Due i parametri considerati: la riduzione sia dei sintomi cutanei percepiti sia degli stati d’animo negativi (distress), misurati con questionari validati: rispettivamente loSkindex-16 e il Termometro del distress. I dati analizzati riguardano donne affette da cancro al seno che, sottoposte a differenti terapie oncologiche, avevano sviluppato reazioni cutanee avverse di grado I e per tale motivo erano state indirizzate allo Spazio benessere Ieo tra l’aprile 2016 e l’agosto 2017.
La popolazione in studio è stata suddivisa in due gruppi: 100 soggetti – che hanno costituito il gruppo sperimentale (Gs) – hanno ricevuto il trattamento secondo i protocolli specifici effettuati da estetiste Apeo e hanno usato quotidianamente prodotti cosmetici specifici. Le altre 70 donne in terapia sono state incluse nel gruppo controllo (Gc) che non ha ricevuto alcun trattamento estetico e ha impiegato quotidianamente prodotti cosmetici di uso comune. I questionari sono stati somministrati tre volte: al momento dell’arruolamento e ai follow-up di una e quattro settimane. Dopo 28 giorni, l’applicazione dei protocolli effettuati da estetiste Apeo hada un latomigliorato del 60% i sintomi cutanei percepiti, dall’altro ha ridotto del 53% il distress, con un cambiamento positivo del benessere psicofisico delle persone (SrQoL,Skin-related quality of life). I medesimi sintomi, al contrario, sono peggiorati nel Gc. Questi risultati, secondo gli autori, dimostrano che l’estetica oncologica può avere un ruolo di rilievo ai fini del successo del trattamento delle neoplasie: la tossicità cutanea (che può causare secchezza, prurito, bruciore) influisce infatti negativamente sulla SrQoL, facendo crescere anche il disagio emotivo che a sua volta aumenta il rischio di interruzione della terapia oncologica.
«Mi aspettavo assolutamente questo risultato perché lo studio conferma l’esperienza di tre anni di lavoro su persone in terapia oncologica» dichiara Carolina Ambra Redaelli, coautrice dello studio e presidente Apeo. «Il risultato più importante è la riduzione dello stress e del senso di frustrazione che va di pari passo con il miglioramento dei problemi cutanei». Un risultato eclatante si è visto con l’uso del detergente, sottolinea Redaelli. «Potersi lavare il viso senza sentire bruciori, pizzicori e pruriti costanti è stato assolutamente importante per queste donne» specifica. Circa la selezione di pazienti con reazioni cutanee avverse solo di grado I, il presidente Apeo spiega che «l’obiettivo dello studio era togliere il sintomo, cioè ridurre il grado I, che si caratterizza per secchezza senza lesione e non è di competenza medica. Lo studio dimostra quindi che l’adesione del paziente al trattamento estetico appropriato, prevenendo le lesioni e mantenendo il buono stato dei tessuti, prima e dopo e durante il trattamento, migliora la qualità della vita ed evita che le lesioni peggiorino e diventino di competenza infermieristica o medica».
I protocolli Apeo sono direttive standardizzate di trattamento da applicare in base alle lesioni cutanee e sono stati messi a punto dalla stretta collaborazione di oncologi, psiconcologi, chirurghi plastici, fisioterapisti e docenti specializzati in cosmetologia. Le estetiste Apeo sono figure specializzate in grado di valutare le tossicità cutanee di chemioterapia e radioterapia e di applicare protocolli estetici mirati. Le estetiste diplomate possono apprendere questi protocolli grazie a un corso della durata di 120 ore della Regione Lombardia. La formazione è fondamentale – dichiara Redaelli – perché acquisendo la competenza sulla tossicità delle varie terapie oncologiche e la capacità di capire se la problematica è di competenza medico-infermieristica o se può essere trattata direttamente per migliorare il sintomo, l’estetista Apeo può dare al medico disponibile un aiuto nella gestione di piccoli problemi quotidiani della paziente.
Qual Life Res, 2019;28(6):1543-53. doi: 10.1007/s11136-019-02133-9.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/30788654
Fonte docotr33: https://bit.ly/2YF3ICc
È ora disponibile in Italia, rimborsato dal Servizio sanitario nazionale a seguito della recente approvazione da parte di Aifa, brodalumab. Si tratta di un farmaco biologico indicato per il trattamento della psoriasi a placche da moderata a grave, presentato nel corso di una conferenza stampa organizzata da Leo Pharma.
La psoriasi è una malattia autoimmune, infiammatoria e cronica della pelle che nel mondo colpisce circa 125 milioni di individui. La gran parte dei pazienti soffre di psoriasi a placche, la forma più comune che si manifesta con chiazze arrossate, ispessimento e desquamazione delle zone colpite con prurito a volte molto intenso. In Italia sono circa 2 milioni le persone che vivono con la psoriasi, di queste più del 10% ha una psoriasi moderata-grave che non può essere trattata solo con i trattamenti topici o con le terapie convenzionali sistemiche.
Sul nuovo farmaco sono stati svolti numerosi studi clinici (Amagine-1, Amagine-2 e -3) che hanno coinvolto più di 4mila pazienti con psoriasi a placche moderata-grave e hanno confermato che brodalumab sia il farmaco biologico più efficace e veloce per il trattamento della psoriasi moderata-grave. I soggetti trattati con questo medicinale hanno raggiunto livelli di cute completamente libera da lesioni (complete skin clearance) in tutte le zone del corpo colpite, più velocemente rispetto ai pazienti trattati con il farmaco di confronto, ustekinumab. Nel 50% dei pazienti trattati con brodalumab si sono ottenute risposte di complete skin clearance in un tempo più breve rispetto al trattamento con ustekinumab. A 2 settimane, 1 paziente su 4 trattato con brodalumab ha raggiunto una pelle quasi completamente libera da lesioni (PASI 75) e 4 pazienti su 10, dopo 12 settimane di trattamento, hanno ottenuto una cute completamente libera da lesioni (PASI 100).
«La psoriasi altera i rapporti sociali e l’attività lavorativa, ma prima di tutto altera il rapporto con se stessi – afferma Giampiero Girolomoni, direttore della clinica Dermatologica dell’Università di Verona – le manifestazioni cutanee provocano disagio, vergogna e frustrazione impedendo a volte anche le più banali attività ricreative. Avere una pelle normale restituisce a questi pazienti il piacere della vita e del proprio corpo, insomma ricominciano a vivere. Inoltre, teniamo conto che queste terapie oltre ad essere molto efficaci e veloci, sono estremamente sicure e ben tollerate. Quindi, non è richiesto un monitoraggio particolare in quanto gli effetti collaterali sono molto rari e pochissime le controindicazioni».
Brodalumab è un anticorpo monoclonale, il primo e unico trattamento biologico per la psoriasi che ha come bersaglio il recettore dell’interleuchina-17 (IL-17RA). È un farmaco biologico con meccanismo d’azione e caratteristiche diverse rispetto agli altri anti-citochine le cui evidenze indicano una risposta rapida e duratura oltre che livelli elevati di cute libera da lesioni e miglioramento della qualità della vita.
A spiegare il differente meccanismo d’azione di brodalumab rispetto agli altri farmaci biologici per psoriasi è Antonio Costanzo, responsabile Unità operativa di dermatologia all’Humanitas di Milano. «I recettori sono proteine poste sulla superficie delle cellule, che segnalano le informazioni in entrata. L’informazione segnalata dal recettore dell’interleuchina-17, che è quello inibito da brodalumab, è “infiammazione”. Quindi, brodalumab – sottolinea – interrompe l’infiammazione alla base della patologia andando ad inibire a valle molte delle cellule coinvolte nei processi infiammatori, mentre gli altri farmaci bloccano le citochine a monte. Altra differenza importante è che brodalumab riesce a bloccare più citochine infiammatorie: IL-17A, IL-17F, IL-17A/F e IL-17E, quindi, ha un grado di inibizione più completo rispetto agli altri farmaci. La diretta conseguenza di questo comportamento è un’attività molto veloce, i cui effetti si vedono già dalla prima iniezione, dopo meno di una settimana. Tutto questo avviene senza peraltro compromettere le funzioni del sistema immunitario».
Dagli studi Amagine-2 e Amagine-3 emerge che già dopo 52 settimane di trattamento il 51% dei pazienti riesce ad ottenere una pelle libera da lesioni; efficacia che si mantiene fino a 120 settimane, quando più della metà dei pazienti mantiene una cute completamente pulita (Pasi 100) e più di tre quarti una cute quasi completamente pulita (Pasi 90). Un risultato dunque costante nel tempo, che contribuisce decisamente a migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Anna Capasso
Fonte Doctor33: https://bit.ly/2YGLe4a
L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha approvato un nuovo farmaco, che contiene il dimetilfumarato come principio attivo, per il trattamento di prima linea della psoriasi a placche di grado moderato-grave negli adulti, che richiedono una terapia con un farmaco sistemico. Lo ha annunciato Almirall, che ha sviluppato il farmaco. Il profilo di efficacia e tollerabilità del dimetilfumarato lo rende una valida opzione, in particolare per l’impiego di lungo periodo, in grado di ritardare l’impiego di farmaci biologici preservando la qualità di vita dei pazienti.
«Questo farmaco ha un’efficacia sostenuta da un’esperienza clinica di oltre 20 anni – spiega Luigi Naldi, responsabile dell’Unità Complessa di Dermatologia dell’Ospedale San Bortolo di Vicenza – relativa agli esteri dell’acido fumarico e con un favorevole profilo di sicurezza; una importante caratteristica che distingue gli esteri dell’acido fumarico dalle altre opzioni terapeutiche di prima linea è l’efficacia mantenuta a lungo termine e la flessibilità dei dosaggi che permettono di personalizzare il trattamento». La psoriasi colpisce circa 7,8 milioni di adulti in Europa e circa 125 milioni di persone in tutto il mondo e nonostante le diverse opzioni di trattamento esistenti, molte persone con psoriasi a placche continuano a lottare con la natura persistente di questa malattia cronica.
Fonte Doctor33: https://bit.ly/2X7RoJG
Quante proteine nella pelle
Per realizzarlo, i ricercatori hanno utilizzato la pelle ‘scartata’ dagli interventi chirurgici per poterla dividere nei suoi vari strati e isolare le cellule immunitarie. Successivamente, hanno analizzato il contenuto di proteine in questi campioni. Il risultato è una caratterizzazione di quasi 11.000 proteine contenute nella pelle, molte delle quali precedentemente sconosciute. Lo scopo dell’atlante è quello di caratterizzare la composizione molecolare della pelle sana permettendoci di confrontarla con quella malata. Oltre a fornire una più ampia comprensione della biologia della pelle umana, i ricercatori saranno ora in grado, attraverso le biopsie cutanee, di determinare cosa provoca le malattie e come si sviluppano.
Un viaggio dentro la pelle
Una persona su quattro soffrirà di una malattia della pelle ad un certo punto della vita. Alcune di queste patologie, come la psoriasi, l’eczema e le malattie autoimmuni, possono essere debilitanti e ridurre significativamente la qualità della vita. Per questo, il nuovo atlante viene considerato una “mappa del tesoro” e potrà essere utilizzato per scoprire nuovi percorsi terapeutici e possibilmente guarire dalla psoriasi, dall’eczema, malattie autoimmuni e altre condizioni tra le 3.000 malattie della pelle conosciute.
La rosacea, malattia infiammatoria cronica della pelle che fa arrossire il volto, ha un impatto negativo sulla qualità di vita di chi ne soffre. Una persona su cinque arriva a modificare le proprie abitudini quotidiane e quasi il 90% rinuncia a quelle attività che possono peggiorare i sintomi o causarne la ricomparsa del rossore, ad esempio l’esposizione solare, nel 50% dei casi, seguita dall’assunzione di alcol e cibi speziati, rispettivamente nel 33% e 26% dei casi.
“Un’indagine promossa da Galderma – ha dichiarato Giuseppe Micali, direttore della sezione dermatologia, Università di Catania – conferma l’impatto psicologico che la rosacea ha sulle persone”. Spesso chi ne soffre, e si ritrova talvolta con il volto rosso fuoco senza apparente motivo, salta il controllo dal dermatologo, preferisce lo scambio di consigli con altre persone online. Questo ha indotto uno dei profili Facebook più seguiti (Rosacea Italia) a raccomandare sempre di rivolgersi al medico per una diagnosi certa e per ricevere una prescrizione adeguata.
Nell’ampia gamma di terapie disponibili per il viso arrossato, e altre localizzazioni tipiche degli arrossamenti della pelle, ci sono approcci di natura diversa, sostanze farmacologiche e terapie fisiche. I trattamenti topici comprendono brimonidina (per l’eritema), ivermectina, metronidazolo o acido azelaico. Tra le terapie sistemiche, l’unico farmaco approvato è la doxiciclina, prescritta in casi selezionati secondo il giudizio clinico. Le terapie fisiche sono utilizzate soprattutto nel trattare le teleangectasie.
Oltre ai medicinali, la routine cosmetologica e la cura igienica quotidiana della cute rivestono, secondo gli specialisti, un ruolo importante per il mantenimento dei risultati, tanto da richiedere prodotti adeguati e specifici, che oggi esistono e che il medico è in grado di indicare.
Fonte: https://bit.ly/2J0WFjU
Secondo i risultati di uno studio pubblicato sul British Journal of Dermatology, una crema topica non steroidea sperimentale, nota come PAC-14028 o Asivatrep, ha significativamente migliorato i segni e i sintomi di malattia nei pazienti con dermatite atopica. «Il farmaco agisce in maniera innovativa e potente bloccando il membro 1 (TRPV1) della sottofamiglia dei recettori attivati dai vanilloidi, un canale cationico coinvolto nella percezione del dolore, e riduce il prurito e l’infiammazione» spiega Miyoung Park, della divisione Ricerca e sviluppo di AmorePacific Corp di Yongin, Repubblica di Corea, co-autore dello studio. «Ci aspettiamo che Asivatrep mostri vantaggi in termini di efficacia e sicurezza rispetto ad altre classi di farmaci per la dermatite atopica, come gli inibitori della calcineurina topica o gli inibitori della PDE4» aggiunge. Nello studio, sono stati coinvolti 194 pazienti che hanno applicato il prodotto alle concentrazioni di 0,1%, 0,3% o 1,0%, o una crema placebo, nelle aree colpite da dermatite atopica due volte al giorno.
Tutti i partecipanti hanno avuto al basale un punteggio Investigator’s Global Assessment (IGA) di 2 o 3 (su una scala da 0 a 5), che indicava dermatite atopica moderata. L’esito primario era la percentuale di pazienti il cui punteggio IGA fosse diventato 0 o 1 dopo otto settimane di trattamento. Ebbene, i tassi di successo per questo esito sono stati del 14,6% per il placebo, del 42,6% per PAC-14028 allo 0,1%, del 38,3% per PAC-14028 allo 0,3% e 57,5% per PAC-14028 all’1,0%. Entro l’ottava settimana, la percentuale di pazienti che ha ottenuto il successo del trattamento, in base a un miglioramento di due punti del punteggio IGA rispetto al basale, è risultata significativamente più elevata nei gruppi di trattamento allo 0,1% (21,3%), 0,3% (27,7%) e 1,0% (38,3%) rispetto al gruppo placebo (4,2%). L’uso della crema all’1% è stato associato a miglioramenti nei sintomi della dermatite atopica riferiti dal paziente, tra cui il prurito e il sonno. Gli eventi avversi sono stati lievi o moderati e non sono emerse differenze clinicamente significative nei tassi di eventi avversi correlati al farmaco tra i bracci di trattamento. «È attualmente in corso uno studio di fase 3 su adulti e adolescenti con dermatite atopica da lieve a moderata per valutare PAC-14028 all’1%» precisano i ricercatori.
Br J Dermatol. 2019. doi: 10.1111/bjd.17455
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/30623408
Fonte Doctor33: https://bit.ly/2Sr6ew6
L’INCHIOSTRO dei tatuaggi oltrepassa la pelle, penetra nel sangue e raggiunge i linfonodi, gonfiandoli. A raggiungere le ‘sentinelle’ del nostro sistema immunitario sono particelle del materiale, usato per tribali e scritte, inferiori a un milionesimo di millimetro. A individuarle, per la prima volta, il team coordinato da Ines Schreiver dell’Istituto federale tedesco (Esfr) per la valutazione dei rischi. Sono state osservate grazie al più potente dei microscopi, la luce di sincrotrone. “Lo studio ha registrato delle alterazioni microscopiche – spiega Antonio Cristaudo, responsabile della dermatologia allergologica dell’istituto San Gallicano di Roma – ma non è detto che provochino lesioni o che portino a malattie”.
I risultati del monitoraggio sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports. Al momento, fanno sapere gli autori dello studio, non si hanno elementi per dire se l’inchiostro dei tatuaggi sia dannoso per il sistema immunitario o meno. L’unica conseguenza individuata dai ricercatori è il rigonfiamento cronico dei linfonodi. “Quando ci si fa un tatuaggio si è in genere molto attenti a rivolgersi a centri che utilizzano aghi sterili. Tuttavia nessuno controlla la composizione chimica dei colori che – spiega Hiram Castillo-Michel del Centro europeo per la luce di sincrotrone Esfr di Grenoble -, oltre a pigmenti organici, contengono sostanze come nichel, cromo, manganese, cobalto e biossido di titanio. Quest’ultimo, dopo il ‘carbon black’, (l’inchiostro nero) è il secondo ingrediente più utilizzato per disegnare tatoo. Si tratta un pigmento bianco che, mescolato con dei coloranti, genera diverse tonalità. E’ un elemento che viene anche usato negli additivi alimentari, negli schermi solari e nelle vernici”.
E proprio sul biossido di titanio, una volta entrato nel tessuto, gli scienziati dell’Esrf, della Ludwig-Maximilians University e del Physikalisch-Technische Bundesanstalt sono riusciti a ottenere un’immagine chiara. “Grazie a delle prove visive sapevamo già che i pigmenti viaggiano dai tatuaggi ai linfonodi. Questi prendono il colore dell’inchiostro – riferisce Bernhard Hesse, uno degli autori dello studio -, è la risposta del corpo che pulisce il sito di ingresso del tatuaggio. Quello che non sapevamo è che migrano in una forma nano, il che implica che non possano avere lo stesso comportamento delle particelle a livello micro. E’ questo il problema: non sappiamo come reagiscono le nanoparticelle”. Le misurazioni con la tecnica della fluorescenza a raggi X hanno permesso ai ricercatori di individuare il biossido di titanio in versione micro e nano sia nella pelle che nell’ambiente linfatico.
I tatuaggi fanno male? E’ ancora presto però per trarre un bilancio definitivo da questo studio. “Al di là del caso specifico dei pigmenti di inchiostro, quello delle nanoparticelle è un mondo di cui si sa ancora poco. Per questo – spiega Cristaudo – è bene essere prudenti. Questo studio ha dimostrato che dai tatuaggi si generano nanoparticelle che possono raggiungere i linfonodi viaggiando nel sangue. Si è visto poi che vanno a ‘colorare’ i linfonodi, causando alterazioni microscopiche. Per dire però se queste ultime siano dannose o meno, cioè se provocano lesioni o malattie, serve una valutazione a distanza di anni. La loro influenza, dopo un anno o trenta dalle punture dell’ago, potrebbe cambiare”.
Problemi per la pelle. A livello dermatologico il quadro è più chiaro. Quando si parla di tatuaggi i problemi principali arrivano dai metalli che, e sono molti gli studi che lo sostengono, sono presenti nell’inchiostro. Le patologie più frequenti sono le dermatiti da contatto e pseudogranuloma. “La reazione intorno alle parti disegnate è soggettiva, dipende dalla predisposizione, non abbiamo dei marker biologici per stabilire in partenza chi abbia una pelle più o meno irritabile. I fastidi – chiarisce Cristaudo – possono manifestarsi subito come a distanza di molti anni”.
L’uso di altre tecniche ha confermato il movimento delle nanoparticelle nel sangue, la deposizione di elementi tossici e pigmenti di tatuaggio e le infiammazioni cutanee derivanti dai tatuaggi. Il prossimo passo dei ricercatori sarà quindi analizzare altri pazienti tatuati, con problemi alla pelle in prossimità dei disegni, per verificare se i fastidi siano originati effettivamente dai pigmenti dell’inchiostro per tatuaggi o meno.
Fonte La Repubblica: http://www.repubblica.it/salute/prevenzione/2017/09/12/news/tatuaggi_studio_particelle_colore_viaggiano_sangue-175287653/
Contagiati anche gli operatori sanitari: 27 casi. Tra gli ammalati l’89% non è vaccinato. In Romania è emergenza.
Allarme rosso nel Lazio per la diffusione del morbillo: in meno di tre mesi è cresciuto di circa il 290% rispetto all’intero 2016.
Dopo le segnalazione del Ministero dei giorni scorsi la Direzione regionale della sanità mette nero su bianco l’sos generale di massima allerta con una circolare (in allegato) inviata lunedì mattina a tutte le asl e medici ospedalieri, di famiglia, pediatri, specialisti indicando le modalità operative per arginare la diffusione dell’infezione.
Dall’inizio dell’anno al 19 marzo i casi di morbillo infatti sono triplicati rispetto all’intero anno 2016. Il sistema regionale di controllo (Seresmi) ne ha contati 312 dal 1 gennaio al 19 marzo 2017 mentre nel corso dei 12 mesi del 2016 i casi erano stati solo 107.
“Il Servizio Regionale per la Sorveglianza delle Malattie infettive (SERESMI), attraverso i sistemi di sorveglianza integrata morbillo e rosolia e di sorveglianza sindromica dei PS/DEA,- scrive la Direzione regionale – ha registrato un notevole incremento nel numero di casi di morbillo a partire dall’inizio del 2017. Dall’analisi preliminare delle segnalazioni pervenute al suddetto Servizio, nel periodo 01/01/2017–19/03/2017, sono stati segnalati 312 casi rispetto ai 107 casi complessivi segnalati nel corso dell’anno 2016. La classe di età più rappresentata è quella dei giovani adulti (15-39 anni), corrispondente al 61,5% dei casi. Fra le segnalazioni si registrano 27 casi (8,7%) in operatori sanitari”.
Sotto accusa la mancata vaccinazione: su 221 dei casi registrati il 90% era senza vaccinazione, il 31,4% dei casi ha presentato almeno una complicanza: insufficienza respiratoria, epatite, trombocitopenia ed encefalopatia.
L’aumento dei casi riguarda l’Italia e L’Europa: il Centro Europeo per il Controllo delle Malattie riporta un incremento di casi e la presenza di focolai epidemici in diversi paesi europei Romania, Francia, Irlanda, Germania, Inghilterra, Galles e Austria. In particolare in Romania, è in corso un epidemia iniziata alla fine del settembre 2016 che al 10 marzo 2017 conta 3466 casi.
Ma nel Lazio la “presa” del morbillo sembra aver assunto tratti di particolare virulenza da qui la decisione di allertare tutto il sistema. Puntuali e dettagliate le indicazioni operative che devono assumere tutti i soggetti coinvolti al fine di arginare e contenere la diffusione della malattia.
A tutti i medici si raccomanda di segnalare (entro 12 ore) ogni caso sospetto di Morbillo alla ASL di competenza; a queste si raccomanda, di avviare tempestivamente l’indagine epidemiologica dei casi clinicamente compatibili, con particolare attenzioni ai casi correlati con l’assistenza sanitari; i risultati delle indagini sierologiche effettuate in un laboratorio periferico dovranno essere comunicati alla ASL la quale provvederà a trasmetterli al SERESMI tramite la scheda di sorveglianza integrata.
“Tenuto conto della situazione epidemiologica attuale si raccomanda la massima attenzione alla messa in atto tempestiva delle misure di controllo – sottolinea la Direzione generale – E’ essenziale pertanto: isolare i casi durante il periodo infettivo (da 4 giorni prima a 4 giorni dopo la comparsa del rash); identificare altri casi nella comunità; identificare tempestivamente i contatti e proteggere gli individui suscettibili nella comunità attraverso la vaccinazione. https://expressdigest.com/gambling-opportunities-australian-casino-fans-enjoy-in-2021/ Si raccomanda ai MMG e PLS di limitare il ricorso alle cure nei pronto soccorso ai soli casi sospetti di morbillo che presentino sintomi e segni suggestivi di complicanze. Nei pronto soccorso realizzare aree e percorsi dedicati, fornire di mascherina il paziente e di filtrante respiratorio gli operatori che prestino assistenza. Si raccomanda in particolare la vaccinazione ai viaggiatori suscettibili che si recano in zone endemiche, tra le quali la Romania”.
Fonte Affari Italiani: http://www.affaritaliani.it/roma/morbillo-da-paura-nel-lazio-epidemia-piu-290-di-casi-in-tre-mesi-471044.html?refresh_ce