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Monthly Archives: luglio 2017
Studio diagnostico Pantheon > Mednews > 2017 > luglio
Lug31
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Estate in salute: 10 consigli sull’alimentazione

By Redazione - Alimentazione,News

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“Estate sicura, come vincere il caldo” è il tema dell’incontro del 14 luglio a Spazio Donna – Expo Milano, organizzato dal Ministero della salute per parlare di prevenzione degli effetti delle ondate di calore, con riferimento anche alla corretta alimentazione.

L’Italia è stato uno dei primi Paesi in Europa che ha attivato, già a partire dal 2004, un Piano nazionale di interventi per la prevenzione degli effetti sulla salute da ondate di calore.Il punto di partenza del Piano è l’attivazione del sistema nazionale previsione-allarme per ondate di calore, che coinvolge 27 città e consente di conoscere, con un anticipo di almeno 72 ore, l’arrivo di una situazione climatica a rischio per la salute. Altre componenti importanti sono: l’attivazione del sistema rapido di monitoraggio e sorveglianza giornaliera della mortalità e morbilità correlate al caldo; l’identificazione sul territorio delle persone più “fragili” verso cui indirizzare in via prioritaria gli interventi di prevenzione (in base ai livelli di rischio climatico ed il profilo di rischio della popolazione esposta); la definizione di piani locali di prevenzione sviluppati sulla base delle linee-guida diffuse dal Ministero della Salute ed infine, la campagna di informazione e comunicazione “Estate sicura-come vincere il caldo”.

Sul portale del Ministero della salute sono scaricabili diverse brochure e opuscoli rivolti alla popolazione in generale, ai Medici di medicina generale, agli operatori sanitari di istituti di ricovero per anziani e opuscoli rivolti alle badanti, tradotti in sei lingue (inglese, francese, spagnolo, rumeno, russo e polacco). Il Piano nazionale di prevenzione per ondate di calore, gestito e coordinato dalla Direzione Generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute, con il supporto tecnico del CCM, rappresenta attualmente l’unico esempio concreto in sanità pubblica di strategia di adattamento per eventi climatici.

Ecco infine dieci preziosi consigli per un’alimentazione corretta e sicura in estate, un periodo accompagnato da maggior tempo libero, con abitudini alimentari diverse rispetto al resto dell’anno: maggior numero di pasti fuori casa, scarsa attenzione agli apporti nutrizionali, minori formalità.  Bere e mangiare correttamente contribuisce ad affrontare l’afa e a ridurre i rischi per la salute dovuti alle ondate di calore, in particolare la disidratazione. Quando fa molto caldo i bambini, le donne in gravidanza e gli anziani possono soffrire di più e essere più esposti al rischio di disidratazione.

  1. Bere almeno due litri (otto bicchieri) di acqua al giorno. In estate si perdono minerali con l’aumento della sudorazione e della traspirazione. Per gli anziani è particolarmente importante bere, indipendentemente dallo stimolo della sete. I bambini devono bere di più. Moderare il consumo di bevande con zuccheri aggiunti. Limitare il consumo di bevande moderatamente alcoliche come vino e birra. Evitare le bevande ad alto contenuto di alcol.
  2. Rispettare quotidianamente il numero e gli orari dei pasti, soprattutto la prima colazione, che deve essere privilegiata rispetto agli altri pasti. La prima colazione è il pasto più importante della giornata, arriva dopo il periodo di digiuno più lungo nell’arco delle 24 ore e fornisce il “carburante” per tutta la giornata. Non consumare un’adeguata prima colazione, inoltre, predispone ad una maggiore assunzione di calorie nelle ore successive.
  3. Aumentare il consumo di frutta e verdura di stagione e yogurt. Mangiare frutta e verdure fresche di stagione (400 g almeno al giorno, OMS). Preferire lo yogurt senza zuccheri aggiunti. Insieme alla frutta, può diventare un ottimo spuntino. Non trascurare la frutta secca (mandorle, noci ecc), ricca di grassi “buoni”, minerali e fibre, ma non esagerare, perché apporta calorie.
  4. Preparare i piatti con fantasia, variando gli alimenti anche nei colori. Il colore degli alimenti è dato dalle sostanze ad azione antiossidante (vitamine, polifenoli ecc): più si variano i colori, più completa è la loro assunzione.
  5. Moderare il consumo di piatti elaborati e ricchi di grassi. Con il caldo, l’organismo consuma meno energia. È consigliabile, quindi, moderare l’apporto calorico, preferendo una cottura in grado di mantenere inalterato l’apporto di minerali e vitamine, diminuendo anche la quantità di sale da aggiungere durante la preparazione. Condire con olio d’oliva a crudo.
  6. Privilegiare cibi freschi, facilmente digeribili e ricchi in acqua e completare il pasto con la frutta. Questa regola va seguita in particolare quando si consuma il pranzo “al sacco”, non esagerando con gli spuntini salati o zuccherati.
  7. Consumare un gelato o un frullato può essere un’alternativa al pasto di metà giornata. Il gelato o il frullato al latte che sostituiscono il pasto vanno inquadrati nell’ambito dell’apporto nutrizionale giornaliero.
  8. Evitare pasti completi con primo, secondo e contorno quando, durante soggiorni in albergo o in viaggio, è più facile che si consumi al ristorante sia il pranzo che la cena. Optare in una delle due occasioni per piatti unici bilanciati che possono fornire i nutrienti di un intero pasto. Alcuni degli abbinamenti possibili sono pasta con legumi e/o verdure, carne/pesce/uova con verdure.
  9. Consumare poco sale e preferire sale iodato. La carenza di iodio è ancora un problema: la tiroide condiziona molte funzioni dell’organismo ed ha bisogno del giusto introito giornaliero, garantito dal consumo di soli 5 g di sale iodato. Per gli ipertesi può essere utile consumare sale iposodico o asodico.
  10. Rispettare le modalità di conservazione degli alimenti. Mantenere la catena del freddo per gli alimenti che lo richiedono (borsa termica per il pic-nic). Ricordare che cibi conservati a lungo in frigorifero rischiano un peggioramento nutrizionale e/o una contaminazione da microrganismi.

VEDI ANCHE: “Estate sicura, come vincere il caldo in gravidanza”

“Come garantire un’estate serena ai nostri amici a quattro zampe”

Fonte Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?menu=notizie&p=dalministero&id=2169

Lug26
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Cancro al seno, un test può evitare la chemio

By Redazione - News,Oncologia,Senologia

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Circa un quarto delle donne operate per tumore al seno potrebbe evitare la chemioterapia adiuvante dopo intervento, trattamento che risulterebbe inefficace, oltre ad essere gravato da pesanti effetti collaterali e costi onerosi per il servizio sanitario.
Un test molecolare altamente affidabile è in grado di predire su un gruppo di pazienti operate per cancro al seno le probabilità che la chemioterapia sia efficace e di prognosticare un’eventuale ricaduta a 10 anni dalla diagnosi.

Nel Lazio ogni anno sono circa 4.200 le nuove diagnosi di tumore al seno e questo accade in Italia ogni anno per oltre 48.000 donne. La grande maggioranza affronta l’intervento chirurgico e, circa la metà, dopo l’operazione viene sottoposta a chemioterapia adiuvante, che spesso non risulta efficace. Oggi però un nuovo test genomico consente su pazienti operate per un cancro al seno di prognosticare un’eventuale ricaduta a 10 anni dalla diagnosi e le probabilità che la chemioterapia sia efficace. Per le pazienti significa non dover affrontare senza motivo i pesanti effetti collaterali della chemioterapia, con riduzione dei costi anche per il Servizio Sanitario Nazionale correlati al trattamento ed alle possibili complicanze. In Italia le pazienti eleggibili hanno la possibilità di effettuare gratuitamente il test grazie al programma di sperimentazione PONDx, avviato a febbraio 2016 e attualmente in corso in 11 Centri del Lazio, tra i quali l’Istituto Nazionale Regina Elena di Roma.

Al momento sono state testate più di 600 pazienti solo nel Lazio, di cui più di 60 presso l’Istituto Nazionale Regina Elena. Analogo studio è stato condotto in numerosi Centri Ospedalieri in Regione Lombardia e in altri Centri sul territorio italiano. I risultati saranno presentati in occasione di vari Congressi previsti nei prossimi mesi.

«Il test Oncotype DX© ci aiuta a individuare meglio le pazienti che hanno una prognosi più sfavorevole e ci dice quali di queste possono giovarsi di un trattamento chemioterapico in aggiunta all’ormonoterapia sia in pre che in post-menopausa», afferma Francesco Cognetti, Direttore dell’Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Regina Elena di Roma. «In particolare, il test fornisce informazioni su pazienti con tumore invasivo della mammella, linfonodi negativi o positivi fino a un massimo di 3, con recettori ormonali positivi, pazienti che in base ai prelievi anatomo-clinici e biologici sono in una zona di confine, in una fase in cui si può includere o escludere con certezza il trattamento chemioterapico rispetto alla sola ormonoterapia».

Fonte Il Messaggero: http://salute.ilmessaggero.it/ricerca/cancro_seno_un_test_puo_evitare_la_chemio-2549112.html

Lug12
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Vietato esagerare con i farmaci anti-acido. Aumentano il rischio di morte prematura

By Redazione - News

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Il loro uso deve essere limitato a 8 settimane al massimo. Perché gli inibitori di pompa protonica possono avere effetti collaterali gravi sulla salute. Uno studio di Bmj Open ha osservato un’associazione tra l’uso prolungato e l’aumento della mortalità.

Scientificamente parlando vengono chiamati “inibitori di pompa protonica” (Ppi) , ma sono comunemente noti come antiacidi. Si tratta dei ben noti e diffusi farmaci per la gastrite, il reflusso gastroesofageo, ulcere e altri problemi gastrici. Una categoria di farmaci essenziale per milioni di persone nel mondo, ma che usata – come spesso avviene – in maniera inappropriata può causare seri danni alla salute. Addirittura, secondo un recente studio su British Medical Journal Open l’assunzione a lungo termine di questi comuni medicinali è associata a un aumentato rischio di morte prematura.

Non è la prima volta che i farmaci contro i bruciori di stomaco sono accusati di effetti collaterali preoccupanti, come danni ai reni, indebolimento delle ossa e anche demenza. Ma questo nuovo studio è forse il più allarmante.

I ricercatori hanno esaminato i dati sulla salute di 275 mila persone che tra il 2006 e il 2008 avevano assunto regolarmente gli inibitori di pompa protonica e di 75 mila pazienti trattati con un altro tipo di farmaci chiamati H2 antagonisti indicati sempre per ridurre l’acidità di stomaco. Tutte le informazioni sono state ricavate dal database del US Department of Veterans Affairs. I ricercatori hanno selezionato i pazienti che facevano un uso prolungato dei medicinali per i bruciori di stomaco e hanno osservato il numero dei morti e la data del decesso.

«Da qualunque parte guardassimo i dati, vedevamo sempre la stessa cosa: esiste un rischio di morte prematura più alto tra chi assume gli inibitori di pompa protonica», ha detto Ziyad Al-Aly, autore dello studio e professore di medicina alla Washington University di St. Louis. «Per esempio mettendo a confronto i pazienti che prendevano gli H2 antagonisti con quelli che assumevano i Ppi, abbiamo trovato che questi ultimi correvano un rischio del 25 per cento più alto di morire nell’arco dei successivi 5 anni».

Chi parla, Ziyad Al-Aly, ha dedicato gran parte del suo lavoro a studiare gli effetti collaterali dei farmaci antiacido. Dimostrando, in precedenti studi, che in determinate circostanze i gli inibitori di pompa protonica possono provocare, per esempio, danni ai reni. Era legittimo domandarsi quindi se la somma di queste conseguenze negative potesse incidere sulla mortalità.

Secondo i calcoli dei ricercatori in ogni gruppo di 500 persone che assume inibitori della pompa protonica per un anno c’è una morte che si poteva evitare. Non è un dato trascurabile considerato che queste medicine sono acquistate da milioni di persone in tutto il mondo. Secondo, i ricercatori, dunque, agli inibitori di pompa potrebbero essere additate migliaia di morti in eccesso ogni anno.

I rischi per la salute aumentano con il prolungarsi della terapia: dopo 30 giorni non si registrano sostanziali differenze tra chi assume Ppi e chi assume H2 antagonisti, ma dopo uno o due anni  il rischio di morte tra i consumatori degli inibitori di pompa è del 50 per cento superiore rispetto a quello dell’altro gruppo.

È bene chiarirlo: lo studio non smentisce in alcun modo l’utilità di questi farmaci. Piuttosto un loro uso smodato e che non rispetta le indicazioni delle linee guida che raramente ne consigliano un utilizzo più lungo di otto settimane.  «Gli inibitori di pompa protonica salvano delle vite. Se ne avessi bisogno li prenderei assolutamente», chiarisce Al-Aly. «Ma non li prenderei con disinvoltura se non ne avessi bisogno. E vorrei che il mio medico mi tenesse sotto controllo attentamente e sospendesse la terapia nel momento in cui non ce ne fosse più necessità».

Fonte HealthDesk: http://www.healthdesk.it/medicina/vietato-esagerare-farmaci-bruciori-stomaco-aumentano-25-rischio-morte-prematura

Lug10
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Tumore al polmone, trovata la cura: il farmaco che demolisce le cellule maligne

By Redazione - News,Oncologia

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È un nuovo anticorpo monoclonale, un “farmaco intelligente” che si è rivelato in grado di colpire e demolire il tumore del polmone fino ad oggi incurabile.

Si chiama Keytruda (pembrolizumab), ed in Italia è stato approvato il mese scorso dall’Aifa come “farmaco di prima linea”, cioè da usare come prima terapia in alcune neoplasie del polmone, incluse quelle inoperabili, quelle cioè diffuse e metastatiche, per le quali fino ad ora esisteva solo la chemioterapia. Il suo effetto terapeutico è stato definito rivoluzionario, ed in effetti per la prima volta, dopo 40anni, un medicamento “biologico” si è rivelato un’arma micidiale, efficace e selettiva, in grado di aggredire solo ed esclusivamente le cellule neoplastiche, potenziando il sistema immunitario del paziente ammalato, inducendolo a riconoscere e distruggere tutte le sue cellule maligne.

Questa terapia, definita “immuno-oncologia”, in un prossimo futuro sostituirà completamente la chemioterapia classica, la quale agisce uccidendo tutte le cellule in replicazione, incluse quelle sane, comportando pesanti effetti collaterali.

L’anticorpo monoclonale, invece, elimina solo le cellule tumorali, si lega unicamente alle cellule bersaglio per le quali è stato programmato, ed ha un meccanismo d’azione opposto rispetto a quello della chemio, perché risveglia le difese naturali del nostro organismo, ovvero riattiva il sistema immunitario bloccato dal tumore, stimolandolo a riconoscere le cellule neoplastiche, ad attaccarle e indurle ad autodistruggersi.

In pratica riattiva i linfociti T, le cellule che normalmente sono presenti nel nostro sangue in difesa dalle malattie infiammatorie ed infettive (che la chemio distrugge), inducendoli a bloccare il recettore cellulare che fa crescere il tumore,il quale in breve tempo si riduce, smette di proliferare e le sue cellule in circolo vengono bersagliate una ad una, e muoiono “a cascata”, una dopo l’altra.

Il Keytruda, una macromolecola umanizzata dal topo, sviluppata e commercializzata dalla Merck, ha inoltre un pregio importante, quello di avere un profilo di tollerabilità ottimo, cioè non provoca gli effetti collaterali della chemioterapia (vomito, astenia o perdita dei capelli) e non ha tossicità ematologica e midollare, perché elimina solo le cellule malate, risparmiando quelle sane.

Gli anticorpi monoclonali sono l’unica vera grande scoperta della ricerca scientifica e farmacologica degli ultimi 20 anni, ed ormai si sono dimostrati in grado non solo di curare, ma addirittura di guarire definitivamente molte neoplasie del sangue una volta mortali (linfomi, mielomi e leucemie), e da circa 10 anni sono utilizzati anche per la cura dei tumori solidi, per gli adenocarcinomi, con grandi risultati, come per esempio nella cura del terribile melanoma, il tumore maligno della pelle, una volta letale al 90%, ed oggi, grazie a loro, curabile anche nella sua fase più avanzata.

Il Pembrolizuman viene somministrato in infusione venosa in flebo, per circa 30 minuti ogni tre settimane, per circa sei mesi, ed oggi é l’arma più precisa a disposizione, che si affianca a quelle tradizionali rappresentate dalla chirurgia, chemioterapia, radioterapia e terapie biologiche varie, e rappresenta un grande passo avanti verso la sconfitta o la cronicizzazione della malattia neoplastica.

Uno studio, pubblicato sul Lancet Oncology, ha testato 300 pazienti con tumore polmonare in fase molto avanzata, dimostrando che dopo oltre un anno il 70% dei malati, dichiarati incurabili,trattati con l’anticorpo monoclonale era vivo ed in buone condizioni, rispetto a circa il 40% di quelli trattati con la sola chemioterapia, ed inoltre si è osservato più del 50% di riduzione del rischio di progressione della malattia, mentre è stata certificata addirittura triplicata la sopravvivenza libera da progressione della malattia.

Per ora questo farmaco viene usato principalmente su particolari tipi di tumore polmonare, quelli con un carcinoma non a piccole cellule(NSCLC) e con alti livelli del recettore PD-L1, che inattiva i linfociti T, bloccando così la risposta del sistema immunitario contro il tumore. Il Keytruda in pratica sblocca questo meccanismo, e favorisce la autodistruzione del carcinoma del polmone. Questo nuovo immunomodulatore si sta inoltre sperimentando con successo su altri tipi istologici di neoplasia polmonare, ed anche sui carcinomi maligni di altri organi, come quelli del colon e del pancreas, con risposte che appaiono molto incoraggianti, e che vanno oltre le aspettative.

Una speranza scientifica che la ricerca farmacologica sta trasformando in affidabile certezza.

Fonte Quotidiano Libero: http://www.liberoquotidiano.it/news/scienze—tech/12433297/tumore-polmone-keytruda-farmaco-cura.html

Lug5
00

Cervello «in fiamme» in chi soffre di disturbo ossessivo-compulsivo

By Redazione - Senza categoria

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Livelli più elevati di infiammazione soprattutto nelle aree cerebrali che nei pazienti funzionano in modo anomalo: le prospettive per possibili terapie.

C’è chi è ossessionato da un pensiero ricorrente, chi non riesce a impedirsi di controllare e ricontrollare mille volte al giorno il proprio battito cardiaco, chi accumula oggetti senza riuscire a smettere pur essendosi riempito casa di cianfrusaglie. E non mancano gli esempi famosi, dal produttore Howard Hughes e la sua fissazione per l’igiene, a Nikola Tesla ossessionato dal numero tre: il disturbo ossessivo-compulsivo è un problema diffuso e forse, come molte altre patologie, potrebbe dipendere da un eccesso di infiammazione.

Studio di Imaging cerebrale

Lo ipotizza una ricerca del Center for Addiction and Mental Health di Toronto pubblicata su JAMA Psychiatry, secondo cui nel cervello di pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo si può rilevare uno stato infiammatorio del 32 per cento superiore rispetto a chi non ne soffre. Il dato arriva dall’analisi di quaranta volontari, per metà sani e per metà affetti da disturbo ossessivo-compulsivo, con una PET (tomografia ad emissione di positroni) modificata per “vedere” l’infiammazione nel cervello grazie a una speciale tecnologia che attraverso un tracciante consente di valutare l’attività delle cellule cerebrali con una funzione immunitaria, la microglia. I ricercatori hanno misurato così l’infiammazione in sei diverse aree cerebrali note per avere un ruolo nel disturbo, scoprendo che in media nei pazienti è superiore del 32 per cento rispetto ai sani e anche che c’è una variabilità fra i malati che potrebbe riflettere quella biologica della patologia; per esempio, si è osservato che i soggetti in preda a un’ansia maggiore quando tentano di evitare di mettere in atto i gesti compulsivi sono anche quelli con un maggior grado di infiammazione. L’obiettivo degli autori, ora, è identificare marcatori specifici, nel sangue o fra i sintomi, che possano identificare i pazienti con un maggior livello di infiammazione che più potrebbero beneficiare di terapie mirate per ridurla.

Antinfiammatori per un disturbo mentale?

Dal momento che a oggi le terapie non funzionano in circa un terzo dei casi di disturbo ossessivo-compulsivo, un problema che riguarda circa l’1-2 per cento della popolazione, identificare una nuova terapia sarebbe molto utile, come spiega Jeffrey Meyer, responsabile dell’indagine: «Farmaci pensati per ridurre l’infiammazione cerebrale in altre patologie potrebbero rivelarsi efficaci per i pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo; dobbiamo capire quali fattori specifici contribuiscano all’infiammazione in questi soggetti e individuare modi per ridurla e mantenere solo gli aspetti positivi dell’attivazione della microglia. La relazione fra infiammazione cerebrale e disturbo ossessivo-compulsivo è forte, specialmente nelle aree che sappiamo funzionare in maniera diversa nei pazienti: un dato nuovo sulla biologia della malattia che speriamo porti presto a nuove cure con l’obiettivo di ridurre l’infiammazione quando diventa potenzialmente dannosa e promuovere invece la risposta infiammatoria “buona” non eccessiva, con effetti curativi. Un’infiammazione cerebrale maggiore rispetto ai sani peraltro non è propria solo di questo disturbo, l’abbiamo verificata anche nel caso della depressione, che spesso vi si accompagna: terapie che possano controllarla potrebbero perciò costituire una svolta per i pazienti».

Fonte Il Corriere della Sera: http://www.corriere.it/salute/neuroscienze/17_giugno_25/cervello-in-fiamme-chi-soffre-disturbo-ossessivo-compulsivo-c1e7c45c-5970-11e7-9f31-aa0f9733b64b.shtml

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